L’amore ai tempi degli Hipster vol. 10


L’ostentata indifferenza di colleghi, seduti uno accanto all’altro, che si scrivono su Skype.

Metallari che dissertano sull’icoerenza dell’affermazione: i metallari sono tutti di destra; basterebbe ascoltare i Destroy the opposition per ricredersi, sostengono.

L’ unghia del mignolinino del piede delle donne; la puzza di asciugato male.

L’espressione: “Quante volte ho preso quel treno”, con il “quante volte” che può variare da 3 a 3000.

Gli sguardi di accondiscendenza tra baffisti (portatori di baffi) giovani e anziani.

Il cambio di espressione che provoca la parola contratto, nominata agli amici dei tuoi genitori.

La frenesia della serata in cui hai ricevuto lo stipendio.

Le raccomandazioni delle sorelle/amiche delle fidanzate che variano dal: “trattamela bene se no ti ammazzo” al: “abbine cura”.

o

La legge della strada che quando sei oggettivamente Bona è molto più semplice avere indicazioni stradali.

Il ragionevole e insolubile dubbio: si può puzzare in maniera clamorosa già dalle 8 del mattino?

Il dubbio se Pierino delle barzellette è sempre Pierino alias Alvaro Vitali

Le macchine ricche, guidate dai figli ricchi, dei padri ricchi.

La scortesia di alcuni inservienti dei sushi; le attese disattese delle facce brutte sui culi sontuosi; le descrizioni dei vini bianchi: tutti, tutti, e dico tutti, ideali per piatti a base di pesce.

L’improbabilita di alcuni volti alle 9 del mattino nelle piazze delle grandi città italiane.

o

Il gioco più bello del mondo: immaginarsi la vita della gente guardando le finestre illuminate per strada.

La bruttezza ingiustificabile di alcuni bermuda maschili.

La classificazione di genere delle linee dei bus: il 15, la 90.

I Pr; le schede telefoniche all’interno dei raggi della bici; i segni sul deltoide dei vaccini over 50.

La somiglianza di Marvin Gaye con Lebron James .

Gli attacchi di batteria di Phil Collins, solista.

I kebabbari, i figli dei pizzaioli egiziani, gli husky: ad agosto.

Milano, 18 agosto, preghiamo


Tapparelle chiuse. Un reggimento di tapparelle chiuse. Riottose all’esterno, non si aprono. Almeno per oggi. Mettono paura per quante sono e per quanto son chiuse.
Troppo silente la città, oggi. Si sente tutto là fuori. In verità si sente il nulla, perché fuori c’è il nulla. Mai tanti posti liberi per parcheggiare; mai così poca umanità accanto al bar dei cinesi.
Stendiamoci sul divano. Immoliamoci, da settimane vergini e astinenti, alle punture delle zanzare. Nella domenica carsica, antecedente al ritorno lavorativo, aspettiamo un segnale. Aspettiamo il sole.

Toc toc. Bussano alla porta. Il segnale arriva. Di domenica pomeriggio. Alle 18:00. Guardo dallo spioncino. La vicina logorroica e baffuta: Baffi.
Apro la porta. Mi chiede se sono tornato. Le rispondo con educazione che purtroppo non ha il piacere di trovarsi di fronte ad un ologramma. Da un: “Ah!” di risposta, quasi piccata. Non si scoraggia. Affonda il fendente finale di questa domenica spettrale. Mi dice che sta andando a messa. Potrei andare con lei. Parlare col Signore non mi farebbe bene.

Mai come adesso proverei piacere nell’essere una tapparella, in un’altra parte del mondo.