ELSA SPINACI – S1E10


LA FAMIGLIA BELOZZI

Uno dei grossi rimpianti di questa quarantena è non aver conteggiato lavatrici e lavastoviglie effettuate. Da inizio lockdown dovrei essere su 50 lavastoviglie e 20 lavatrici. Almeno così sostiene la Protezione Civile. Pensavo a questi numeri, all’efficacia e alla correttezza del conteggio, a quando Borrelli li avrebbe decanati in conferenza stampa, quando Jerry, il portinaio, mi ha chiamato dall’interfono.

Son sceso in portineria e dopo parecchie indagini linguistiche sono riuscito a capire che dei vecchini del palazzo avevano chiesto se qualcuno potesse pagare loro una bolletta dell’Internet. Dal tabacchino o con il telefono magari, come fanno i giovani…
– Signor Sjoorsjo, buoi bagare tu? Eh eh. – mi ha chiesto il portinaio nel suo adorabile Jerrese.
Ho pagato la bolletta della famiglia Belozzi tramite il telefono, essendo un giovane. Ho stampato la ricevuta. Ho preso il corrispettivo del pagamento e ho inserito il resto nella busta, restituendo poi il tutto a Jerry.

Alle 15:30 il mio cellulare, giovane, ha iniziato a vibrare, mostrando una chiamata da un telefono fisso. Ero pronto a rispondere in maniera pungente all’ennesimo tentativo di retention di un operatore sardo, quando dall’altra parte del telefono ho sentito:
– Proooontoooo.
– Si, pronto?
– Lei è Giorgiooooo?
– Si, esatto. Con chi parlo?
– Ciao Giorgio. Siaaaaamo i signoriiiii Belozziiiii – mi hanno risposto probabilmente da una caverna o dall’appartamento meno ammobiliato del quartiere, a giudicare dalla quantità di eco. –
Signor Gioooorgio, volevaaaaaamo ringraziarlaaaaa per la bollettaaaaaaa.

Bene, quello che è difficile trasferire, ma ci proverò comunque, è il meccanismo comunicativo della famiglia Belozzi. Ad interfacciarsi con me, alla cornetta, c’era il signor Belozzi; ogni cosa pronunziata dal signor Belozzi però veniva suggerito dalla ferrea signora Marisa, moglie del Belozzi. La cosa straordinaria è che i due, marito e moglie, non hanno mai avuto percezione che questo loro dialogo interno fosse in realtà perfettamente udibile.
La telefonata infatti è stata più o meno questa:

– Digli che è stato gentile – Marisa Belozzi dice a suo marito, “bisbigliando”
– È staaaatoooo mooolto gentileeeee signor Giorgioooo – il Signor Belozzi dice a me, con ingenti dosi di eco.
– Si figuri signor Belozzi. È stato un piacere.

– Digli che è stato gentile!
– Gliel’ho detto Marisa. Gliel’ho già detto…
– Allora digli che ci dobbiamo conoscere e rendere la gentilezza ricevuta.
– Signor Giorgioooo, noiiii non ciiii conosciamoooooo. Non ciiii conosciamoooo ancoraaaaaa – sempre il signor Belozzi dalla caverna – pensi, non sappiamoooo nemmenoooo in che pianooo abitiamoooo. Quando tuttooo questooo sarà finitoooo però vorremmo ringraziarlaaaa di personaaaa.

– Digli che magari possiamo offrirgli delle torte o del the.
– Signor Giorgioooo, magari quando tutti staremo beneeeee potremo offrirvi della cioccolataaaaaaa.
– Mario, dovevi dire il the, o delle torte, perché hai detto la cioccolata?
– Marisa, stai zitta un attimo, Marisa!
– Che ne diceeeeee signor Giorgioooooooo?
È dopo questa proposta che ho iniziato a vacillare. Bisognava rispondere con un sì alla cioccolata del signor Belozzi o alla proposta originaria di torte di sua moglie? Ci ho pensato su parecchio, 3 secondi forse. Quando però è arrivato l’ultima trasmissione dell’eco originaria, ho risposto:
– Signor Belozzi, le ripeto, è stato una grande gioia potervi dare una mano. Accetto volentieri l’invito e non esitate a contattarmi nuovamente per delle commissioni del genere – un po’ thankyou page post acquisto di un ecommerce, ma abbastanza svizzero da evitare dissidi nella coppia.
– Va bene signor Giorgiooooo. Graaaazieeeee. Graaaazieeeee. Graaaazieeeee. Graaaazieeeee.

Si è conclusa così la chiamata. Con un eco infinito di grazie. E un pareggiamento delle bollette nel faldone di casa Belozzi. Anche loro, nella casa dell’eco, potranno tornare a fare lavatrici e lavastoviglie senza sosta. Sembra poco ma in realtà sò soddisfazioni.

ELSA SPINACI – S1 E9


IL NIPOTINO GIANCARLO

È da qualche giorno ormai che Elsa Spinaci, giovinastra ottantenne del mio condominio, ha inserito la mascherina nel daily-street outfit. La indossa sempre. Ligia alle disposizioni regionali. Quando scende per buttare l’umido, quando va a fare la spesa, quando Jerry, in portineria, le consegna Famiglia Cristiana. La indossa anche in casa. Ogni tanto la vedo sul balcone, un piano sopra il mio, a scrutare il cielo inerte, con la mascherina.
– Sa, signor Giorgio, le precauzioni non sono mai troppe – mi ha detto l’altro giorno, quasi a volersi giustificare per l’eccesso di zelo.
Suo marito Attilio invece, u chin d merd: niente. Non la indossa mai. Ne è sempre sprovvisto. Quando lo incrocio in condominio, claudicante e in affanno, è sempre smascherato. Ma d’altronde, cosa ci si può aspettare da nu chin d merd? Questa pandemia ci sta insegnando tanto sulla resilienza, sulla forza di volontà, sulla tenacia e la fratellanza disinteressata. Ci sta però anche sensibilizzando verso un sano disprezzo per i vecchi di merda. Basta pietas e buonismo per questa categoria sopravvalutata. Va detto: Attilio Spinaci è degno di rappresentante di questa categoria. Quindi nei suoi confronti solo estremo realismo: Attilio, sei nu chin d merd. Ecco!

Incrocio Elsa in ascensore. Il nostro luogo del cuore. La scatola meccanica in cui condividiamo confessioni, segreti e microbi. Come ogni losca storia d’amore che si rispetti.
– Signor Giorgio, oggi è una giornata speciale.
– Perché Elsa? – rispondo così, un po’ sfrontato. Senza nemmeno darle del “lei”.
– Beh, per due motivi. La prima è che domani è Pasqua. Ah, a proposito… ha ripreso a credere in Dio?
– Inizio a maggio. Glielo prometto.
– Bene. Dicevamo, il primo perché domani è Pasqua e il Signore Iddio risorgerà e magari sconfiggerà anche il virius.
– Certo…
– Il secondo è perché finalmente verrà a trovarmi mio nipote Giancarlo.
– Ah! Che meraviglia. Suo nipote Giancarlo. – rispondo, cercando di scordare i concetti di distanziamento sociale e le esortazioni pubbliche all’isolamento domiciliare.

A questo punto le porte dell’ascensore si aprono, tuttavia l’isolamento forzato, il palese amore di una nonna verso il nipote o chissà quale allineamento cosmico mi tengono attaccato al Elsa, che di suo nipote vuole raccontarmi: tutto. Ripeto: tutto.
– Ha sedici anni. Frequenta il liceo scientifico Einstein. Suona il pianoforte. La sua fidanzata si chiama Emma. È una ragazzina molto bella. Anche di buona famiglia. Gioca a tennis, no Emma, mio nipote dico, Giancarlo. Ha dei capelli biondi, corti e degli occhi verdi.
– Signora Elsa…
– A scuola prende ottimi voti. Ha una passione per la matematica, in particolare per l’algebra. A detta di suo padre e sua madre, che è mia figlia, dovrebbe prendere gli stessi studi del nonno Attilio (u chin d merd) in ingengneria magari…
– Signora…
– Magari non proprio in ingegnera edile, ma in un’altra branca. Oggigiorno, mi diceva mio marito Attilio (u chin d merd) vi sono parecchie specializzazioni in ingegneria, infatti…
– SIGNORA SPINACI! Deve lasciare la portiera dell’ascensore. Altrimenti nessuno può chiamarlo.
– Ah! Ha ragione. Che sciocca che sono… – nello stesso istante Elsa Spinaci molla la presa e la porta dell’ascensore, con il suo movimento volutamente diluito, si richiude su se stessa. – Va bene signor Giorgio, la lascio. Magari continuiamo la prossima volta. Ci sono ancora molte cose che vorrei raccontarle su mio nipote Giancarlo. Che ne dice?
– Signora Elsa, non vedo l’ora. Davvero. Nel frattempo però me lo saluti, insieme a suo marito Attilio e a tutto il resto della sua famiglia.
– Buona Pasqua signor Giorgio. A lei e ai suoi cari.

L’ascensore si muove verso i piani superiori. Chiamato da qualcuno che in questa vigilia pasquale, di Giancarlo, delfino di Elsa Spinaci, giovinastra ottantenne del mio condominio, non sa ancora nulla.

ELSA SPINACI S1E8


GERRY

Non è che i rapporti tra di noi fossero iniziati in maniera pacifica. Anzi…
– Oberai rotto muro. Voi bagare. Adesso. – Sei parole d’accusa e nessuna possibilità di replica. Queste le frasi di benvenuto ricevute da Jerry, il nostro portinaio con la collezione di gilet più vasta del globo.
È col passare del tempo che le cose sono migliorate, stabilizzandosi su una linea amicale tendente all’idilliaco. Ogni giorno, da qualche mese ormai, è un tripudio di: Eh eh signor Sjoorgio, come va? Eh eh signor Sjoorgio è arrivata lettera. Tutto rigorosamente in una lingua particolare. Nella lingua di Gerry.

– Eh eh signor Sjoorgio, buonjorno. Sai cosa mio figlio fatto ieri?
– Ciao Gerry, buongiorno. No, che è successo?
– Una sciallenj?
– Una che?
– Sciallenj, signor Sjoorgio, come si dice? Sfida… Sciallenj.
– Ah certo Jerry. Una challenge… E in cosa consisteva questa challenge?
– Dobbiamo fare gabriola su letto e poi dobbiamo dire una frase.
– Cioè?
– Chi è cioè?
– No Gerry, volevo dire, cosa dovete pronunciare? Qual è la frase che dovete dire?
– Ahhh, ho capito. Eh eh. Una frase in arabo.
– Sì, ho capito anche quello, che frase?
– Man yafeal alshaqlubat ladayh quat al’asad warashaqat alfahd
– Che in italiano significa?
– Significa: chi fa la gabriola ha forza di leone e agilità di ghepardo.
– Ah, bellissima. È un proverbio della tua terra?
– No. Di videogames.
– Ah ok… Ma tu Gerry l’hai fatta questa challenge? Hai fatto la capriola con tuo figlio?
– Noooo signor Sjoorgio. Io ho erni.
– Che hai?
– Dolore qui. (indicando l’addome)
– Hai l’ernia?
– Sì. Ernia. Però fatto mio figlio la sciallenj.
– Ah bene.
– Eh eh, no bene signor Sjoorgio. Mio figlio fatto gabriola e poi caduto da letto. Testa un po’ sbaccata però su youtube biaciuto un sacco. Un sacco, signor Sjoorgio. Eh eh. Molti like. Molti commenti.
– Ma scusa, lui si è spaccato la testa e poi ha caricato un video su youtube, con la testa spaccata?
– No signor Sjoorgio. No brobrio sbaccata sbaccata. Solo poco sangue. Però aveva ragione mio figlio… Lui mi ha detto: Papà, questo video un sacco di like. Questa sciallenj super famosa. E infatti, aveva ragione. Ora sciallenj super famosa. Ora lui famoso. Ora lui infuens delle sciallenj. Eh eh…
– Pazzesco Gerry.
– Eh sì signor Sjoorgio. Bazzesco.
– Salgo Jerry. Vado a pranzo.
– Ciao signor Sjoorgio. Fai anche tu la sciallenj oggi?
– No Gerry, oggi faccio la pasta al forno. Sono andato al supermercato apposta.
– Mmm… bella signor Sjoorgio. Buona. Buon branzo allora.
– Ciao Gerry buona giornata. Fai il bravo.
– Eh eh – risate compiaciute e birichine – io sempre bravo signor Sjoorgio.

Signor COVID-19: grazie degli spunti


Nonostante un’economia distrutta, degli squilibri emotivi di massa e una clausura globale, gradirei comunque ringraziare il signor Covid-19, vista la possibilità che mi ha dato di interrogarmi su 5 tematiche molto interessanti. Cercherò di elencarle tutte, ponendomi molte domande, ricevendo poche risposte.

1) LA MERCE
Partiamo da qui. Non era mai capitato ai ragazzi della nostra generazione, cresciuti nell’agio tardo capitalistico, di percepire delle lacune sul soddisfacimento di beni primari, come il cibo. Di sentirsi, come in questo periodo, minacciati sull’assenza della primissima necessità.

Come ad eccezioni di disastri naturali, io personalmente, non mi ero mai interrogato su come: fabbrica, merce, magazzini, trasporti, vendita e profitto fossero intrinsecamente connessi. E come l’assenza di un solo di questi tasselli mortificasse tutta l’impalcatura di produzione e benessere connesso.

Inoltre, quello che stiamo osservando nell’immediato è la supplenza (quando possibile) del digitale sul retail/fisico. Con una domanda implicita e costante: fino a che punto questa supplenza sarà sostenibile? Sarà necessaria una riconversione della forza lavoro? Sarà possibile assorbire tutta la domanda e convertire tutta l’offerta, tramite uno switch di canale, forzoso?

Le risposte che mi sento di dare a questa prima tranche di interrogativi è un sonoro: BOH! Questa Fase Uno prevede tante domande. Le risposte latitano. By the way, come direbbero gli amici del marketing, grazie signor Covid 19 per lo spunto.

2) LA VELOCITA’
No, non menzionerò le esaltazioni futuristiche della velocità del secolo scorso, né citerò anche solo per scherzo la purezza stilistica di Carl Lewis o l’etica del lavoro di Usain Bolt. Purtroppo.
Bensì esplicito, anche se già chiaro a tutti, che quello che sta facendo il signor COVID-19, in questo caso, è una crociata implicita sulla velocità. Sulla velocità a cui noi ci eravamo del tutto assuefatti.

È tutto più lento. È lenta la nostra vita (forzata in mura domestiche). E’ lento il riprendere della socialità (la quarantena per molti sta diventando fattuale, di 40 giorni).
Quello che personalmente mi chiedo, sorprendendomi per l’originalità della domanda, visti i tempi è:
a) sarà possibile riprendere la vita alla velocità a cui eravamo abituati?
b) se non proprio alla velocità di prima (2020) ed escludendo la velocita di “prima pima prima” (anni ‘50), sarà necessario ritornare alla velocità di “prima”, del 2010 ad esempio? La vita ai tempi dei trilli MSN Messanger?
c) Se no (come pochi si augurano) che impatto avrà questa riduzione sulla produzione della merce?
d) Se si: volemose bene! Problema risolto.

Può sembrare che sia ossessionato dal ruolo della merce, e forse lo sono. La mia però non vuole essere un’analisi e una visione marxita del problema. Credo però che merce (intesa anche come servizi), velocità e produzione, da settant’anni a questa parte, siano l’ossatura della nostra società.
Abbonatemi perciò il particolare focus sul tema.

3) L’INDIVIDUALISMO E LA COLLETTIVITA’
Anche in questo caso, siamo stati forgiati sul culto dell’individualità e sul valore delle libertà (astenersi ovviamente cittadini di regimi autoritari).

Non fa sorridere come la soluzione ai problemi collettivi, nell’era del signor Covid-19, potrà realizzarsi solo tramite un esercizio di azioni “collettive”? Restate a casa. Non solo io, non solo tu, non solo mio cugino: tutti. Se io, tu e mio cugino, continueranno ad anteporre le proprie partite di curling o le visite dall’otorinolaringoiatra per controlli di routine, tutti, la collettività, potrà riprendere la propria vita tra qualche anno, non tra qualche mese. Questa rivincita dell’obbligo collettivo sul predominio culturale dell’individualità, a me un po’ fa sorridere.

Anche l’espressione (e la comunicazione) dell’individualità sta patendo le angherie di una collettività imposta. Io, anche se tappato in casa, sono libero di fare torte, di fare yoga su Zoom, di fare allenamenti per gli addominali, di fare challenges. In maniera molto originale e in contemporanea con tutto il mondo. Distanti ma vicini, certo, ma ancor più: da soli ma insieme. Un’individualità talmente collettiva che si omologa e diventa collettiva.

E infine, nonostante il ruolo dell’individuo e il culto della libertà, cosa bramiamo maggiormente nelle nostre splendide casette isolate (e in maniera ancora maggiore adesso, con l’avvicinarsi delle feste pasquali)?
Vogliamo stare insieme. Diciamocelo. Non è peccato. Vogliamo sentirci meno soli. Perché siamo animali sociali. Siamo una somma di individualità che formano un collettivo. Volente o nolente.

Ah, io la cosa che bramo maggiormente è farmi un giro in bici, di sera, con la brezzolina primaverile. Ma questo è un altro discorso…

4) CITTA’ – STATO – NAZIONE
In merito ho sentito delle riflessioni interessanti da parte di qualche mente leggermente più scaltra della mia. Zizek, Baricco e Cacciari, solo per citarne tre.
Il dato che è emerso con maggiore forza, uno dei tanti, certo, è che il signor Covid-19 ha contribuito a fare in pezzi con una certa facilità è il concetto di confine. Il virus non ha guardato in faccia a bianchi e neri, a tesserati o non tesserati, a baresi o leccesi. Il virus è stato democratico. Ha avuto pensieri mortiferi per tutti. Senza alcuna distinzione. Mettendo in luce, ancora una volta, come le distinzioni di specie, razza e territorio, sono accomodamenti concettuali, a volte utilitaristici.
La sua essenza democratica e volatile ha messo in luce allo stesso tempo:
– l’impossibilità del non perseguire intenti ed accordi globali e attuarli su scala locale (se le nazioni avessero seguito il modello cinese (entità globale) probabilmente gli effetti su Codogno o le valli bergamasche (entità locali) sarebbero stati decisamente minori.
– l’impossibilità di privilegiare e coltivare solo gli aspetti positivi e e/o finanaziari del capitalismo, senza pensare che ricadute negative (sanitarie) possano essere figlie della stessa globalità.
Prendendo come esempio le mascherine (punto 1) bene merceologico cardine di questo periodo storico: se fossero state prodotte e smerciate su scala globale (punto 4) con una velocità necessaria all’occasione (punto 2), gli impatti sarebbero stati decisamente minori su tutti gli individui (punto 3).

E comunque, vista la ricorsività degli impatti del Signor Covid-19 su merce e produzione e velocità, mi inizio a chiedere se non sia proprio il modello capitalistico, fondato su questi due cardini, a dover essere un attimo ripensato.

5) FUTURO
Tra i beni di consumo più venduti, oltre al cibo, all’amuchina e le mascherine, le fonti ufficiali non rivelano il più strambo: le sfere di cristallo. Dopo averle acquistate, siamo tutti da settimane ad interrogarle, cercando di capire che tipo di futuro ci troveremo a vivere.
Quando torneremo ad avere una vita normale? Il virus ritornerà? Chi si è ammalato in questo periodo, potrà riammalarsi? Si potrà tornare a viaggiare? Si potranno rivivere senza patemi gli spazi sociali collettivi?
Mi piacerebbe poter dare una risposta netta ad ognuna di queste domande.
Considerando però che sui quattro punti precedenti non ho un quantitativo considerevole di risposte e che la sfera di cristallo non mi è ancora stata consegnata, temo dovremo aggiornarci tra qualche mese.

Se possibile, senza il signor Covid-19, che ci ha tanto aiutato a porci delle domande, senza dubbio, ma che allo stesso tempo, scusate il francesismo, ha rotto il ca**o.

Mi raccomando, fate i bravi e leggete questo articolo rigorosamente da casa.

ELSA SPINACI S1E7


ATTILIO

È sabato. Fuori il tempo è grigio. Non brutto, non bello: grigio. Una bacinella di vestiti e biancheria, appena lavati, mi guarda in pena. Vuole essere riposta ad asciugare, sul balcone.
Parto dalle magliette, per far fuori gli oggetti più voluminosi. Procedo con le calze, infide e malvagie, difficili da accoppiare, quando ad un un certo punto, a metà dell’impresa, appare una figura dal balcone superiore. È Attilio. Attilio Spinaci.
Claudicante, come effettivamente descritto da sua moglie Elsa, ci mette un bel po’ a percorrere il mezzo metro del balcone.

Giunto al bordo esterno, poggiati i gomiti sullo stesso, dall’alto in basso mi dice:
– E quindi lei sarebbe il signor Giorgio?
– Si, esatto, salve – rispondo interdetto con in mano un calzino dal pattern natalizio. Sono le calze desuete le vere vincitrici di questo periodo di quarantena, stanno vivendo il loro periodo aureo, inatteso.
– Ho sentito parlare di lei, sa?
– Ah, sì? – rispondo spiazzato. Attilio Spinaci intanto scruta l’orizzonte, fatto di bassi loft e palazzi anni ’70.
– Sì.
Dopo 10 secondi di tempo, durati 10 lustri, interrompo il silenzio e prendo in mano la conversazione.
– Immagino gliene abbia parlato sua moglie Elsa, giusto?
– Certo. E chi sennò? La Divina Provvidenza? – mi stronca così Attilio, perentorio e distaccato come un Navajos nella sua riserva indiana.
– Ah. Eh. Certo – è ufficiale, non so più che dire. Le calze orribili nella loro bacinella mi appaiono sempre più per quello che effettivamente sono: calze orribili.
– Anzi, le dirò di più – finalmente adesso Attilio smette di scrutare i loft e abbassa il volto verso il mio balcone – mia moglie mi ha parlato molto di lei. Mi ha detto che era proprio un bel giovinotto, con un bell’aspetto, una barba rinascimentale, dei modi molto gentili e delle origini gallesi.
– Beh in teoria non sono gallese infatti…
– Mi lasci finire signor Giorgio. Dicevo, mia moglie mi ha parlato molto di lei. Descrivendola in maniera entusiasta. Posso dirle la mia?
– Certo signor Attilio.
– A mio modo di vedere, in tutta onestà, lei non è un granchè.
Ed è così che Attilio, pronunciate queste parole, si gira su sè stesso, ripercorre a piccoli passi il mezzo metro del suo balcone, posa le mani sull’architrave delle finestre e degnandomi dell’ultimo sguardo, prima di rientrare in casa mi dice:
– Buon weekend Signor Giorgio.

Va bene la zona rossa, va bene la quarantena, va bene l’isolamento di gregge, va bene la pandemia ma alle valutazioni a ribasso di un ottantenne mezzo zoppo, onestamente non ero pronto. Non credo fossero presenti e autorizzate nell’ultimo decreto Conte. E a voler sdrammatizzare, guardando gli ultimi indumenti rimasti nella bacinella, sotto un cielo grigio e silente di Milano, non credo fossero un granchè.