Dovete andare a lavorare!


Va bene. Dimettetevi. Dimettetivi tutti. Vostra sponte. Con i moduli prestampati. Sul www. Dimettetevi.
Il giorno dopo però, andate a lavorare.
Mettetevi le calze spesse, le scarpe dure e andate a zappare. Prendete i ceppi dell’uva, metteteli nella bacinella attaccata al collo e scaricatela nel furgone.
Merde.

Alzatevi la mattina, bestemmiate perché è lunedì. Andate in ufficio. Lavorate. Mandate le email. Sul serio però. Voi. Non i vostri assistenti.
Arrivate al 15 del mese e chiamate vostro padre:
– Papà, mi servono i soldi. I 500 euro sono finiti.
Merde.

Mettetvi il camice, andate in reparto, cambiate il nonnino sporco e dite alle figlie imbestialite che per la visita è presto.

Fatelo, perchè questo è un post populista che non inciderà sul vostro vissuto. Fatelo, perché non l’avete mai fatto. Fatelo, perché non sapete cos’è. Fatelo, perché la vita, voi, non la conoscete. Non so se l’avete mai conosciuta, ma di certo, non la conoscete più.
Merde!

Storie di F.S. 10


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• La cosa che mi incanta dei viaggi in treno è il misunderstanding, ormai consolidato e scontato, tra l’interesse e la maleducazione. La signora campana con la voce roca che viaggia sul mio stesso Barletta-Lecce ha fatto di questo assunto, una regola di vita. Sciorina, commenta e chiede opinioni sulle “sue” vie preferite di Roma o sulla giusta lunghezza dei capelli di Hamsik. Ciò che mi affascina ancora in misura maggiore, è che lei crede sul serio che a chi postula domande, esigendo risposte, interessino i suoi vezzi. E i suoi cazzi.

• La mia vicina di banchetto, dell’affollato Bari Lecce, è salita sul treno. Ha esatto il suo posto. Ha fatto alzare metà carrozza. Si è accorta che aveva sbagliato posto. Ha fatto rialzare tutta la carrozza. Si è seduta accanto a me. Il posto giusto, stavolta. Mi ha guardato supplichevole, lasciandomi intendere di spostare la sua valigia sul posto più alto; dove la valigia, ovviamente, non è entrata. Mi ha detto grazie. E ha detto quasi scocciata:
“Lasciamola qua la valigia. Per ora.
Adesso la valigia vaga nel corridioio. Da sola. Fa avanti e indietro nel corridoio.
Sbatte addosso ai sedili dello scompartimento. Sbeum. E ai passeggeri. Sbeum.
La sua padrona invece, serafica e assonnata, legge il giornale. Accanto a me. Sbeum.

• I treni sono un panopticon ridotto, mostrano ai passeggeri fortunati, la logica intrinseca al pensiero comune. Se si è particolarmente fortunati poi, ogni carrozza mette in luce quanto poco da piccoli si è giocato ai Lego. È estatico vedere signori di mezza età che sudano e imprecano per la valigia che non entra nella “cappelliera”. Una valigia che non entra e che soprattutto non entrerà mai. Nonostante i “Morti toi”, i “Meenaa trasi”, e le sfilate di santi nominati fuori sede.

• La discesa verso il profondo sud della Puglia corrisponde a un progressivo degradare in ulivi e muretti a secco. Un po’ di tempo fa, mentre riprendevo la strada della Pianura Padana con una ragazza ciociara, per consolare il suo buffissimo cattivo umore, le dissi:
Cara, vedi che bei paesaggi che ci sono. Vedi che bei colori…
Ricevendo una risposta che tutt’ora impiego come aneddotica di base:
Aaaddddooo? È tutto bruciato. Dù colori ce stanno. Rosso e marrone. Marrone e rosso. Dòò li vedi sti bei colori?”
Effettivamente aveva ragione. In questo Barletta Lecce è ancora più evidente. Dù colori ce stanno. Eppure è comunque meraviglioso.

• Una nonnina emigrata da Lecce molti anni fa, guarda un albero e dice sua nipote: Marì, so pronte le fiche!
La nipote, corroborata da una vita di lazialità spinta, le risponde: a nò, nun se dicono ste cose.

Il primo giorno in ufficio di Ametista Lostagista


Giorno 1. Il primo giorno. L’inizio insomma…

– Buongiorno
– Buongiorno.
– Lei è?
– Ametista.
– Ametista? Ah, Ametista lo stagista?
– Ehm, sì. Avrei anche un nome, però…
– Prego, si accomodi in quella stanza, il direttore l’attende.
– Grazie.

– Buongiorno, Ametista.
– Buongiorno a lei, direttore.
– Come va?
– Bene, bene.
– Son contento. Venga, venga, che le mostro l’ufficio, i suoi colleghi e la scrivania.

Dopo una serie di inutili convenevoli e di fintissimi Ciao.

– Allora Ametista, ha visto che bell’ambiente?
– Bellissimo direttore, bellissimo. Davvero bello. Son molto carico.
– Ah, è carico? Bene, bene. Prego allora, questa è la sua scrivania. Tra un pò arriverà Totò, il nostro informatico.
– Ma dov’è la scrivania, direttore?
– Questa qui. Questa qui.
– Direttore, ma questo è un tavolino dell’Ikea senza sedia.
– Tutti son partiti di qua, Ametista. Tutti. Si adatti e superi gli ostacoli. Avanti…
– Va bene direttore.
– Così la voglio, Ametista. In gamba Ametista… In gamba…

Berlusconi per favore vai a dormire


Non è mai facile sintetizzare malessere e non risultare banali.
Io però sono davvero stanco di far scandire la mia vita in base ai processi di Berlusconi. Per me Berlusconi è un nulla assoluto. Non un mafioso, un corruttore, un santo o un guru. Per me Berlusconi non esiste. È una nuvola. Fluttuante. Ffiuuuu.

Vorrei che in Parlamento si parlasse di come ci si è abituati alla barbarie che viviamo. Vorrei che qualcuno iniziasse a discutere se è normale che un ragazzo si abitui a lavorare gratis. O per 300 euro. Ormai è pura normalità. E non dovrebbe esserlo.
[Cito solo questo tragico esempio perchè corrispondente alla mia generazione; consapevole che di problemi da discutere se ne potrebbero riempire bastimenti]
E tra parentesi, metaforiche, chi scrive queste righe tendenzilmente incazzate ha sempre fatto una vita splendida. Dignitosa. A cui non è mancato nulla. Ma proprio nulla. Son parole quindi di un ragazzo fortunato. Tendenzialmente incazzato.

Sarà che a Milano piove da 5 mesi, sarà che si cresce e ci si interroga, io non reputo più ammissibile però che la vita politica italiana debba ruotare su occupazioni di tribunali e riproposizioni di scudi giudiziari. Perchè la magistatura sarà di sinistra, Berlusconi sarà un povero perseguitato e un commosso benefattore, ma che un ramo del Parlamento occupi un Palazzo di Giustizia è una cosa da fantascienza. E noi ci siamo abituati anche a questo. Per noi, anche questo, è normale.

C’è un paese che piange modernità, che vuole diventare un paese competitivo (e non solo simpatico), che reclama civiltà. E noi qui parliamo di Ruby, del lodo Mondadori, di Longo e Ghedini. Ma io ne sbatto la minchia…
Dall’alto dell’inutilità di questo post, potrò permettermi di essere volgare?