Instagram d’estate fa schifo.


Instagram d’estate fa schifo. I miei contatti sono tutti al mare. O in montagna. Sorridono singolarmente. Sorridono in coppia. Sorridono sempre. Non hanno problemi. Sono stra felici. Se la loro felicità non fosse una costante statistica, potrei anche prenderla per buona.
Instagram anche d’inverno, ad essere onesti, fa abbastanza schifo. Sono tutti felicemente nei loro caldi giacigli, con l’albero e le lucine in background. Hanno tutti dei maglioncini rossi, terrificanti. Molti addirittura li indossano in coppia, come se fosse una cosa socialmente permissibile.
Instagram mi fa schifo anche in primavera. Anche in autunno. Instagram mi fa schifo sempre, se devo essere sincero. Per questo motivo, da gennaio, l’ho cancellata dal mio telefono. Quando devo postare qualcosa (tendenzialmente la Brace Accesa, le foto con le scritte o dei video bislacchi) la riscarico, pubblico i post, mi innervosisco come una bufala in un vernissage e la ricancello.

Anche Facebook d’estate fa schifo. L’unica differenza con Instagram è che da gennaio Facebook l’ho riscaricata soltanto una volta. O due. Massimo tre.
Mentre Instragram però mi provoca una violenza indotta, provocata  dall’omologazione di massa, della felicità fittizia ed esasperante e dalla mia incapacità di staccarmi dalla fruizione di contenuti di cui non mi interessa nulla, su Facebook sono io l’artefice della mia rabbia. Per mesi e mesi, su Facebook, ho scritto cose per pura bramosia di likes. Scrivevo non per il puro piacere di scrivere bensì per verificare a quanti piaceva quello che stessi scrivendo. All’inizio lo facevo distrattamente, quasi senza accorgermene. Poi ho capito di esserci dentro fino al collo. Da gennaio quindi: ciao ciao bambina.
E poi, per dovere di cronaca, Facebook mi fa schifo anche in inverno. E in estate. E in primavera. Sempre.

Tik Tok non ce l’ho. Né voglio averlo. Come il Covid insomma.

Linkedin ce l’ho. Lo uso spesso. Lo uso troppo. Quasi due ore a settimana. Quasi sempre senza motivo. Lo uso come strascico della dipendenza di Facebook e Instagram. Mi ritrovo spesso a scrollare cose di cui non mi interessa niente. Post di persone tendenzialmente con le braccia conserte. Perchè su Linkedin hanno tutti le foto profilo con le braccia conserte? Non riesco a capacitarmene.


A parte la dipendenza da Linkedin, sulla quale credo che interverrò a breve, vivere senza social network è bellissimo. Magari solo per qualche giorno, ma è qualcosa che io consiglio a tutti. Non ci si libera dalla dipendenza dal cellulare ma lo si usa leggermente di meno. Quel poco che ti aiuta ad osservare di più.
Tra le tante cose ad esempio, osservi che in una conversazione di gruppo, seduti ad un tavolo, nessuno ormai riesce a non prendere il telefono dopo 5 minuti. Osservi che spesso colui che prende il telefono lo ha fatto per abitudine, non per una reale esigenza; dopo qualche secondo il telefono verrà rimesso al suo posto. Osservi che non è un problema soltanto della tua generazione. Succede lo stesso con le persone più grandi di te, tipo quelli che hanno l’età dei tuoi genitori. Succede lo stesso con le persone più piccole di te. Succede con tutti. Ed è abbastanza triste.

Volendo si potrebbe rincarare la dose ed entrare nel merito: della polarizzazione delle opinioni, delle informazioni non verificate (aka propaganda), della possibilità di controllo da parte di entità governative, dell’erosione collettiva della soglia dell’attenzione, della perdita, da parte degli adolescenti, della visione laterale. O di come nell’immediato, probabilmente, diverrà necessaria una sempre maggiore forma di regolazione per l’accesso alle piattaforme. Certo, si potrebbe.
Io adesso però devo verificare un attimo quanti miei amichetti stanno sorridendo in spiaggia, felici. Non credo di aver tempo e di potermi esprimere a riguardo.   

Sensibilità


Sensibilità. Sì parliamo di sensibilità. La sensibilità che ci viene richiesta ogni giorno, quella che in azienda ormai è chiamata col nome di empatia. Quell’effluvio di azioni non richieste ma importanti, a volte inaspettate. Quel saper dire cose corrette, al momento desiderato. Quel comportarsi come tu vorresti, senza nessuna indicazione pre pattuita.

Parliamo di sensibilità sui social network nello specifico. Perché si, io credo che sia necessaria anche sensibilità sui social network. Un click è un click. Certo. È semplice. Immediato. Ma è importante. Come ogni gesto che si commette. Ogni cosa, ogni click, ha un peso specifico.

Io credo che molti degli internauti che ti invitano a seguire una pagina, dovrebbero essere più sensibili. Dovrebbero sapere che io detesto il Bricolage, ad esempio. E che ricevere giornalmente un invito a mettere ‘Mi Piace’ a BricoService è una cosa che mi ferisce. E di tutto nella vita vorrei essere edotto, tranne che di Bricolage. Tranne che di BricoService, store megagalattico nel ferrarese, con tutte le brugole e i Fisher del globo. Basterebbe non mettere il mio nome tra lista. Non flaggarmi tra i papabili interessati a ricevere news su: punte di trapani ed offerte per prodotti in legno. Non sarebbe una cosa difficile.
Ci vorrebbe solo un click in meno. E un po’ di sensibilità, appunto.