La virtuosa antipatia di Federico Buffa


Federico Buffa è antipaticissimo.
Ha la voce antipatica, la cedenza antipatica e sa tutto. Troppo.
È quello che a scuola quando stavi ancora cercando di capire il problema, lui aveva già avuto i complimenti dalla maestra.
“Bravo Federico, questa soluzione non l’aveva mai data nessuno. Per te un Ciocorì, tieni”.

Federico Buffa è antipatico, soprattutto per la naturalezza e la spontaneità del suo sapere; dall’aneddoto che ha salvato il centravanti della Serbia dalle bombe nemiche, al racconto segreto del tassista peruviano sugli intrighi di Mexico 70.
La sua enciclopedica cultura inoltre, dettaglio volto a incrementare l’acredine nei confronti del lettore, non si limita al bieco football. Federico sa tutto di basket, di tennis, forse anche di cricket indiano (e di fisica quantistica, perchè no).

Durante lo sciorinìo della sua elegante saccenza, la summa è guardare i colleghi di Federico. Arrapati di calcio come lui. Più di lui. E invidiosissimi.
Lo guardano infastiditi. Dissimulano consapevolezza quando lui parla, come se avessero cognizione di quello che sta dicendo. In realtà si chiedeno il motivo per cui questo qua, che è spuntato dal nulla, deve rubare loro la scena, dicendo cose eccezionalmente belle. E troppo giuste.
“Lasciaci ai nostri commenti e alle interviste durante il primo tempo e vattene a commentare quelli della pallacanestro.”

Loro lì, a tergiversare su commenti di presidenti iracondi e reazioni di calciatori ebeti e lui ad incantare i telespettatori parlando come il doppiatore guercio di Jim Carrey.
Sarà un grande perciò Federico Buffa, senz’altro. Ma anche un grande antipatico.
Soprattutto per i suoi colleghi, credo.

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