ELSA SPINACI – S2E1


BABBO LEGHISTA

Durante la vita di prima mi capitava spesso di prendere l’ascensore con il Babbo leghista. Lo chiamavo così non perché andasse regolarmente sul sacro suolo di Pontida. Lo chiamavo Babbo leghista perché padre di due figlie e perché nell’angusto spazio dell’ascensore che ci conduceva nei rispettivi immobili, mostrava un atteggiamento “un po’ leghista”. Quella malcelata diffidenza, mista ad un’espressione facciale condita con del robusto fastidio latente, tipica degli elettori e dei politici leghisti. Spesso, in questi tragitti, i suoi occhi chiari, coperti da lenti color panna mi dicevano inequivocabilmente: non mi piace la tua barba, non mi piace il tono amichevole che mostri durante questi 3 piani di ascensore, non sono affatto convinto che tu, ragazzo barbuto e meridionale sia una risorsa fruttuosa per questo condominio.

Questa era l’impressione che dava a me. Magari però fraintendevo. Forse il suo sguardo torvo era sola timida curiosità. Vai a sapere…

Il Babbo leghista in ogni caso ha 2 bambini. Bellissimi. Sembrano delle linci di montagna. Hanno degli occhi chiarissimi, affusolati e il loro colorito olivastro dona loro un aspetto esotico. Devono aver preso tutto dalla mamma, visto che il loro babbo leghista ha le fattezze di una caciotta. Non fa nulla tra l’altro per non sembrare una caciotta. Veste volutamente larghetto e i suoi abiti sembrano quel tipo di plastichina che avvolge i latticini nel reparto formaggi della grande distribuzione. La sua somiglianza ad una caciotta mi ha a lungo tenuto interrogato sull’effettivo nome da attribuirgli, se Babbo leghista o Babbo Caciotta. Ha prevalso la prima, essendo la sua attitudine leghista più spiccata di quella casearia.

I bellissimi figli di Babbo Leghista vengono portati “fuori” giornalmente. Fuori in questo caso è inteso come: lo spazio dei box, che danno sulla finestra dove pratico da due mesi lo smart-working e un cortiletto interno, che affaccia sul terrazzo della cucina, dove abitualmente mangio.
I bimbi bellissimi di Babbo leghista quindi sono sempre con me. Sono con me quando lavoro, impegnati in giretti sulle biciclettine nei box; sono con me quando mangio, a scoprire le meraviglie della natura nel cortiletto interno. Carla e Amedeo, bambini bellissimi del Babbo leghista, tanto son belli, tanto frantumano la minchia. Anche qui, ho meditato a lungo sull’utilizzo di un’espressione così greve e anche qui, dopo un’accurata analisi S.W.A.T. ho scelto volutamente questo tipo di espressione. Perché i bambini bellissimi del Babbo leghista, non danno fastidio. Non sono esuberanti. Non sono vivaci e/o necessitano di evadere l’immobilismo domestico forzoso. No, Carla e Amedeo, frantumano la minchia. Le cose vanno dette per come sono.

Se esistesse un prontuario scientifico per esasperazione indotta, Carla e Amedeo sarebbero magnifici rettori. Gli studenti penderebbero dalle loro labbra mentre spiegano le tattiche di esaurimento condomini attuate dall’inizio di questa domiciliazione forzata. Le vado ad elencare qui di seguito, per futura e comune memoria.

PRIMA REGOLA DEL MANUALE ESAURIMENTO CONDOMINI: nominare senza sosta durante la permanenza all’esterno il nome del genitore munito di vezzeggiativo: papinooopapinoopapinoopaponeepaponeepapinoo guarda, guarda, guarda, guarda, papino guarda; o al contempo, quando necessario mamminaamamminaamamminaamamminaa vedi, vedi, vedi, mammina vedi.
SECONDA REGOLA DEL MANUALE ESAURIMENTO CONDOMINI: pronunciare qualsiasi cosa con toni di voce da soprano. Delle petulanti ed ininterrotte vocine stridule che distruggono qualsiasi altro tipo di pensiero e riflessione circostante.

TERZA REGOLA DEL MANUALE ESAURIMENTO CONDOMINI: indurre una risposta di approvazione da parte del Babbo leghista (o al contempo dalla mamma), i quali martoriati dalle richieste della prole intervallano i papinoopapinoopapone vs mamminaamamminaamamminaa con dei cadenzati: sì Carla, sì Amedeo, si Carly, sì Ame, dando quindi un risultato finale del tipo : papinooopapinoopapinoo sì Carla, paponeepaponeepapinoo sì Ame, guarda, guarda, guarda, guarda, sì guardo.

QUARTA REGOLA DEL MANUALE ESAURIMENTO CONDOMINI: soffrire e piangere come durante un’amputazione di un arto non appena viene pronunziata la seguente espressione: “bambini dai, saliamo”. Piangere insieme, per molto tempo, disperati, fino a quando non si è entrati in casa. Per circa 8 minuti quindi.

Tutti in questi giorni si chiedono come sarà la nostra vita una volta sconfitto il virus. Se torneremo a vivere come se nulla fosse accaduto. Tutti discutono i modelli comportamentali che ci hanno accompagnato fino ad ora. Andranno cambiati o rimarranno gli stessi? L’unica cosa su cui io invece mi arrovello da giorni invece è se in uno dei prossimi viaggi in ascensore avrò l’ardire nel pronunciare le seguenti parole:
– Babbo leghista, sappi che Carla e Amedeo sono due bambini stupendi. Fantastici. Per tutta la quarantena però hanno davvero frantumato la minchia.

ELSA SPINACI S1E7


ATTILIO

È sabato. Fuori il tempo è grigio. Non brutto, non bello: grigio. Una bacinella di vestiti e biancheria, appena lavati, mi guarda in pena. Vuole essere riposta ad asciugare, sul balcone.
Parto dalle magliette, per far fuori gli oggetti più voluminosi. Procedo con le calze, infide e malvagie, difficili da accoppiare, quando ad un un certo punto, a metà dell’impresa, appare una figura dal balcone superiore. È Attilio. Attilio Spinaci.
Claudicante, come effettivamente descritto da sua moglie Elsa, ci mette un bel po’ a percorrere il mezzo metro del balcone.

Giunto al bordo esterno, poggiati i gomiti sullo stesso, dall’alto in basso mi dice:
– E quindi lei sarebbe il signor Giorgio?
– Si, esatto, salve – rispondo interdetto con in mano un calzino dal pattern natalizio. Sono le calze desuete le vere vincitrici di questo periodo di quarantena, stanno vivendo il loro periodo aureo, inatteso.
– Ho sentito parlare di lei, sa?
– Ah, sì? – rispondo spiazzato. Attilio Spinaci intanto scruta l’orizzonte, fatto di bassi loft e palazzi anni ’70.
– Sì.
Dopo 10 secondi di tempo, durati 10 lustri, interrompo il silenzio e prendo in mano la conversazione.
– Immagino gliene abbia parlato sua moglie Elsa, giusto?
– Certo. E chi sennò? La Divina Provvidenza? – mi stronca così Attilio, perentorio e distaccato come un Navajos nella sua riserva indiana.
– Ah. Eh. Certo – è ufficiale, non so più che dire. Le calze orribili nella loro bacinella mi appaiono sempre più per quello che effettivamente sono: calze orribili.
– Anzi, le dirò di più – finalmente adesso Attilio smette di scrutare i loft e abbassa il volto verso il mio balcone – mia moglie mi ha parlato molto di lei. Mi ha detto che era proprio un bel giovinotto, con un bell’aspetto, una barba rinascimentale, dei modi molto gentili e delle origini gallesi.
– Beh in teoria non sono gallese infatti…
– Mi lasci finire signor Giorgio. Dicevo, mia moglie mi ha parlato molto di lei. Descrivendola in maniera entusiasta. Posso dirle la mia?
– Certo signor Attilio.
– A mio modo di vedere, in tutta onestà, lei non è un granchè.
Ed è così che Attilio, pronunciate queste parole, si gira su sè stesso, ripercorre a piccoli passi il mezzo metro del suo balcone, posa le mani sull’architrave delle finestre e degnandomi dell’ultimo sguardo, prima di rientrare in casa mi dice:
– Buon weekend Signor Giorgio.

Va bene la zona rossa, va bene la quarantena, va bene l’isolamento di gregge, va bene la pandemia ma alle valutazioni a ribasso di un ottantenne mezzo zoppo, onestamente non ero pronto. Non credo fossero presenti e autorizzate nell’ultimo decreto Conte. E a voler sdrammatizzare, guardando gli ultimi indumenti rimasti nella bacinella, sotto un cielo grigio e silente di Milano, non credo fossero un granchè.

Sgomento


Ti vedo
in camicia da notte color panna
sulla punta del balcone in costiera amalfitana.

Scollature
seni turgidi
col vento che ti agita i capelli.

L’odore del mare
che sale
per farti ammaliare
a farsi annusare.

Sorridi
e mi chiedi che voglio
se voglio del succo
o soltanto un bacio.

Sorrido
beato
e capisco
che son fortunato
perché ti ho qui accanto.

Ti sfioro
al centro del mento
ritratto
tutto ciò che ho detto
al centro
c’è un pelo da barba:
sgomento.

Sai, lo vorrebbe il mio capo…


Ciao Evaristo.
Ciao Egidio, come va? Dimmi tutto…
Tutto bene, Evaristo. Ti chiamavo al volo per dirti due cose.
Dimmi pure.
Innanzitutto volevo ringraziarti per il file di recap che mi hai inviato.
Ma figurati…
È davvero molto utile e preciso.
Grazie ancora. Per voi questo ed altro.

E poi Evaristo volevo chiederti un’altra cosa.
Dimmi.
Il mio capo ha letto la tua email.
Ottimo…
Però non si trovava molto d’accordo sull’ultimo punto.
Mh, ok…
E ha detto ad alta voce che: se fosse per lui tu potresti anche buttarti dal balcone.
Dal balcone?
Sì, dal balcone. Io infatti sto portando avanti l’attività e vorrei chiederti se per te questa richiesta rappresenta una criticità…
Mah guarda, non credo. Dipende… Entro quando dovrei buttarmi?
Mah, sai… non immediatamente, c’è un po’ di tempo…
Ah ok, credevo fosse prioritario…
No, non è urgente, volendo anche tra due settimane, prima che inizi il nuovo quarter insomma… l’importante è che tu lo faccia, sai: me l’ha chiesto il mio capo…

Eh beh Egidio, è chiaro, se è il tuo capo a importi il mio suicidio, di certo io non posso farci nulla; senti, comunque, a ben pensarci non credo vi siano particolari problemi; magari però sento al volo anche il mio capo e mi assicuro che anche lui sia d’accordo, che dici?
Certo, certo, ci mancherebbe altro. Che facciamo poi, mi mandi tu un’email di conferma?
Sì, ti confermo la presa in carico dell’attività, il parere del mio capo e ti do qualche altro dettaglio, tipo su data della morte e luogo predisposto.
Sarebbe davvero fantastico.
Ok, rimaniamo così allora.

Va bene dai Evaristo, alla prossima.
Sì certo Egidio, alla prossima, ed ultima probabilmente. Grazie ancora.

Mi piacciono i tuoi nei


– Mi piacciono i tuoi nei.
– Quali?
– Quei tre vicino alla tua bocca.
– Quelli che sembrano la costellazione di Deritu?
– A me sembravano un triangolo isoscele, ma comunque sì, quelli.
– È che tu sei un ingegnere…
– No, è che tu stai sotto con Brezsny, ed ogni cosa è colpa delle stelle.

– E di me, cosa ti piace di me?
– Mi piace il tuo carattere?
– Del mio fisico intendo.
– Mi piacciono i tuoi zigomi?
– Perché?
– Sono alti.
– Mica tanto.
– Tanto, per essere nato a Catanzaro.

– E di me, cosa ti piace di me?
– Te l’ho già detto, i tuoi nei.
– Oltre i miei nei…
– Il tuo polso.
– Non entrambi?
– No, quello sinistro è più intrigante.
– Volevo sentirti dire che ti piaceva il mio seno. O il mio sedere. O le mie gambe.
– Non è un po’ troppo?
– È il minimo che potevi dirmi…
– È il massimo che volevo darti.
– Minimalista.
– Mi piacciono i tuoi nei.