Battiato dreaming


Osservo cervi muti
parlare di politica
nei boschi della Scozia

lamentano un po’ attoniti
scissioni paventate
del mondo democratico

non hanno ancora inteso
politici e politoligi
che siamo in ere drag and drop

davanti nei congressi
ottuagenari frusti
ambiscono al rispetto.

RIT:
Per questo per protesta
affondo sul divano
e guardo docu: Deadlist Catch
chi pesca grossi granchi
a 40k l’anno
ha tutto il mio rispetto.

E poi le palme bruciano
le nuove palme in Duomo
le palme amiche del caffè

piantate non per datteri
son piante per il marketing
strizzano l’occhio assai all’Islam

chiudiamo le frontiere
facciamo grossi muri
salvo sarà poi il popolo

basta che resti aperto
il canale con l’oltralpe
almeno per il Veuve Clicquot.

RIT:
(vedi sopra)

In piscina Caimi sono tutti cretini


La Piscina Caimi è un luogo bellissimo
elegante
gioioso per gli occhi
e in Piscina Caimi
sono tutti cretini.

(A scanso di equivoci
io sono il primo tra i cretini)
ad aspettare 3 ore per una birra
4 ore per una bruschetta
che pagherò non meno di 12 euro.

Sono tutti cretini
e io non proibisco che lo siano
con i bagnini vestiti troppo fighi
con i guardascarpe
(cugini dei guardaspiaggia e dei guardadovemettiipiedi)
a dirti: si levi le scarpe, si levi le scarpe, si levi le scarpe, grazie.
e metti che c’avevo le unghie lunghe, scemunito?
tu non ci pensi a questo vero, guardiascarpe?
I guardiascarpe tra l’altro hanno delle tute metà imbianchino metà profeta.
Anche loro sono troppo fighi, come i bagnini, in piscina Caimi, sono tutti cretini.

Fanno tutti le dirette video
sul Facebook
si riprendono
scalzi, coi bagnini cretini e profeti imbianchini
in piscina Caimi

La piscina Caimi è l’essenza di MIlano
sta a Milano come Milano sta alla Piscina Caimi
l’equazione si sgretola e diventa un tutt’uno.
Perchè a Milano e in piscina Caimi
ad esempio
parlano tutti di lavoro.
– si Andrea, domani formalizziamo l’offerta
– Antonio, a quel prezzo pensiamoci un attimo e rispondiamogli con in copia Michele.
Ma vafemmoc ammammt!
Secondo me a Pisa non si parla di lavoro, in piscina.
Magari si parla di betulle e risciò
ma non di lavoro.
O magari non si lavora.
O magari non si va in piscina.
Ecco.

Avevo scritto tutte sta cosa
almeno una settimana fa
poi Selvaggia Lucarelli ci ha messo la testa
ci ha messo la bocca
e come al solito ha fatto banco.
Selvaggia, Selvaggia, come devo fare con te
che mi rubi i post dalla mente.
Metterò delle password al cervello
se possibile ancora più massicce.

Orsù dunque
mi taccio
e vado ad ammazzare la comunità di zanzare
che fa piani strategici
per la conquista delle caviglie
che sulla compaggine dei cretini
che vanno in piscina Caimi
ho scritto già troppo cose.

D’altronde
la piscina,
come il cornetto vuoto
e il bricolage
è un concetto
che non esiste.

Segrate


Segrate è come la Svezia, d’estate.

Tutto troppo ordinato, a Segrate.
I campi da calcio, sintetici, temo gratuiti; pletore di vecchi, giovanili, che non si arrendono alla morte; strade e case deserte, nel week end, perché tutti in montagna, al lago, in baita, figa!

Son le agenzie immobiliari, che o solo vendono o solo affittano, ma solo a Segrate; è una città senza centro, vicino a un parco e l’aria è troppo pulita.
Sembra il ’92, sembra Roccaraso, sembra un’altra Milano: 2.

I cassonetti col marchio, l’idea che piace ai ricchi: dello stare tutti insieme, senza problemi, senza cacature di cazzo: Segrate come la periferia bene, americana.

Le persone che si salutano, che non ti salutano, perché non ti (ri)conoscono.

Se solo queste grate
potessero parlare…

segrate-giorgiodamatosenzapostrofo

Scusi, posso passare?


Due signore
cicciobomba
coi passeggini a seguito
su un mezzo pubblico
alle otto
del mattino.

Due bambini
in braccio
alle signore
vicino ai passeggini
che gridano
più delle signore.

I signori
accanto alle signore
che guardano
schifati
i bambini
e i passeggini
e le mamme
sui mezzi pubblici.

Scusi, posso passare?
Alla prossima scende?
E dove vado, signora?
E dove scendo, signora?
Le sembra per caso
che riesca a muovermi?
Che riesca a scendere?
Signora?

Dovrei volare
Signora
sui passeggini
Signora
sulle signore
Signora
e sugli schifati
Signora
per farla passare.

Se proprio vuole,
signora
se vuol passare
magari
potrebbe imparare a volare
o a smaterializzarsi
lei e il suo copricapo
Oviesse.

Signori e Signora,
io rimango qui
inerte
accanto alle signore
ai passeggini
ai due bambini
e agli schifati
che mi guardano
sdegnati
aggregando altro sdegno
a quello che hanno già.

Ector, l’inquilino che russa assai.


Siamo rimasti in trentanove in questa città.
Tra questi, purtroppo, si annovera anche il mio coinquilino. Attenzione, non quello storico, conosciuto e omerico, bensì un altro, affidato dagli dei delle pareti in cartongesso: Ector.

Ector è il capostipite di una famiglia sudamericana.
Non ho capito con esattezza di quale nazione, tendenzialmente perché le stranezze di Ector sono già troppe perché si possa investigare sui suoi lidi natii.
Porzioni di vita di Ector aleggiano nel mistero.
Un mistero che le pareti di zucchero a velo stanno erodendo con costanza, giorno dopo giorno. I maledettissimi finti limiti che ci dividono infatti, son talmente sciocchi che mi lasciano sentire Ector e sua moglie russare, amoreggiare, litigare. Mi permettono di ascoltare il loro figlio chiamare “tìo”, un fantomatico zio, in accanite partite alla Play station.

Mi concedono soprattutto, da due anni, il privilegio di arrovellarmi nella comprensione di cose apparentemente inspiegabili.
La prima di queste è il sentire gridare da Ector, in ore random del giorno e della notte: Berlusconiiiiiii. L’oggetto di questo “nomignolo” sarà il figlio, un animale domestico, un amico metodico che telefona sovente? Non è dato saperlo. Non è detto che in questa vita si possa avere una risposta.
La seconda cosa che Ector mi da il personale privilegio di auscultare, sono le sue capacità polmonari. Ector russa talmente tanto e talmente forte che in un recente focus group fatto nei pressi dell’ascensore è emerso che il suo ronfare rimane più memorabile anche della rissa con machete volanti, avvenuta nell’inverno del 2014.

Peccato che gli altri trentotto, rimasti intrappolati in questa città, adesso non possano sentirlo. Non riescano a sentire quanto forte russa Ector.
Anzi, rettifico. Beati loro. Perché se adesso potessero ascoltarlo, non dormirebbero mica.
Ascolterebbero, probabilmente, anche loro un pezzo del maestro Lugi Lai.
Probabilmente…

(odio) i mezzi pubblici


Odio i mezzi pubblici.
Odio gli autisti dei mezzi pubblici.
Odio le strade
che percorrono gli autisti
dei mezzi pubblici.

Odio il caldo che ti si attacca addosso
quando sei nei mezzi pubblici.

Odio i peli pubblici nei mezzi pubici.

Odio chi bestemmia, nei mezzi pubblici.
Odio chi si rassegna
all’indecenza
dei mezzi pubblici.

Odio le puzze
delle persone
dei mezzi pubblici.

Prendo
tutti i giorni
i mezzi pubblici.

Vorrei un fottutissimo Cayenne
per sgasare e fare le pernacchie
ai mezzi pubblici.

Scusatemi tutto questo odio.
Scusatemi mezzi pubblici.

È solo training autogeno.
Lo faccio solo continuare a essere un passeggero e per non diventare un killer.
Sui mezzi pubblici

#


Via Gola. Lunedì mattina. 07:21.

Molto freddo durante il footing.

Si avvicina una ragazza.
Carina.
Mora.

– Scusami, sai dove posso trovare un po’ di coca?”
– Ehm, guarda… no. Mi spiace.
– Anche a me. Ma non ti preoccupare. Fa niente. Ciao ciao.
– Ciao Ciao.

Guida pratica per affrontare le feste del Roll Over Beethoven


Avvertenze: questo articolo segue i canoni stilistici imposti da Vice. Lo scroll del vostro device vi presenterà perciò un articolo molto lungo, forse divertente, tendenzialmente inutile.

Nell’ideale comune Milano è molto famosa per le feste.
A qualunque parente racconti della tua vita in questa città, subito dopo il binomio “quando sei arrivato – quando riparti”, scatta tronfia la domanda: ma a Milano vai alle feste?
Rispondere sì implica ulteriori ed evitabili domande; rispondere no acclude ulteriore dispiacere e disappunto. La soluzione corretta è: cincischiare.
Anche perché, allo zio godereccio e post berlusconiano sarebbe impossibile spiegare che andare alle feste, a Milano, è sinonimo di: andare al Roll Over Beethoven.


Preparati: al Roll Over Beethoven son tutti bellissimi.

Sia chiaro, non lo dico per la mia indole paracula, ma perché son tutti oggettivamente bellissimi. Roba che guardandoti in giro dici: madò, ma qui sono tutti bellissimi?
Il buttadentro all’ingresso del locale è il ras che doviziosamente impone questa difficile dittatura estetica. Se non sei bellissimo infatti è difficile che il buttadentro prenda in considerazione la tua esistenza; potrai arrivargli a tre centimetri dall’iride chiedendo spiegazioni sul fatto che sei in coda da 3 settimane, non riuscendo a varcare la soglia d’ingresso. Lui non ti risponderà.
Non sei bellissimo. Quindi non esisti. E non esistendo non potrai entrare.

Siccome però il Roll Over è un posto birichino, anche se sei bruttissimo, le tue speranze non decadranno. Gli sparuti bruttissimi all’interno del Roll Over Beethoven infatti, stridono talmente tanto con tutti i bellissimi che riescono ad assumere un contorno piacevole, eterogeneo. Diventano anche loro dei bellissimi bruttissimi.
E ciò, agli occhi di tutti, è definibile con una sola parola: bellissimo.

Dimostrazione danzereccia di quanto siano tutti bellissimi al Roll Over Beethoven.
nota: se l’immagine qui presente lede la vostra sensibilità o i vostri diritti, avvertitemi prontamente e mi scapicollerò ad eliminarla; non ho euro a sufficienza per sostenere spese legali.


Attento agli apostoli del Roll Over Beethoven
.
Sapientemente dislocati nelle zone più trendy della città, il Roll Over si affida a dei bellissimi e convincenti apostoli che diffondono il suo verbo.
Tramite codesti, non sarà difficile ascoltare sagaci approcci comunicativi di questa portata:
– Ciao roccia, come va? Come stai dopo che aver perso il lavoro? Vieni al Roll Over?
oppure:
– Ciao grande, com’è? Ti sei ripreso dalla departita di tuo zio? Vieni al Roll Over?
Non chiamateli PR però. Potrebbero inalberarsi. Il Roll Over è LA festa e non ha bisogno mica di chicchessia che gli faccia pubblicità.


L’importante è che tu, in qualunque modo, ci sia
.
Sarebbe difficile spiegare al nostro zio, ormai metafora di una pasoliniana voglia di conoscenza, anche il friccicore dei venerdì sera. Quella smania taciuta e visibile nel provare a partecipare al Roll Over Beethoven.
Crederebbe, il nostro zio, che pur di assecondare questo friccicore, la gente è disposta a spingersi in comportamenti che hanno dell’irrazionale, tra cui:

  • affidarsi alle preghiere del Signore Gesù prima di affrontare una coda (che senza l’aiuto del buttadentro di cui sopra) è stimata sulle 3 settimane?
  • affrontare nuovamente la stessa coda all’ingresso, anche per riuscire a bere una Cedrata Tassoni?
  • indossare cappelli a falda equatoriale, in primavera-inverno, o da scuola calcio anni 90, in invenrno, che ostruiscono la normale deambulazione?

Ve lo dico io che lo conosco. No. Non ci crederebbe.

Dimostrazione pratica di quanto al Roll Over Beethoven talvolta sia difficile respirare


Cerca di rendere questa esperienza
eterna”.

Una volta superato lo scoglio dell’ingresso, è fondamentale godersi il momento.
Due, gli step fondamentali per riuscire in questa impresa:

    • cerca le ragazze con la macchina fotografica

In queste serate, delle ragazze (tendenzialmente bellissime) si aggirano con delle macchine fotografiche da quattro chili e un quarto. Una volta inserito il tuo volto nella loro memory card, il godimento potrebbe rivelarsi eterno. Ed etereo. Un post su Facebook e un tag appropriato, permetterebbero di ricordare per sempre quella che è stata la serata mediocre più bella degli ultimi otto mesi.
Non pensate sia così facile però. Ricordate che per destare l’attenzione delle ragazze con la macchina fotografica, è importante avere dei requisiti standard: baffi molto lunghi; tagli di capelli con rasature a muzzo, canotte e scarpe da scoglio con il tacco. Oltre a cento chili di tatuaggi, ca va sans dire.
Onta: l’esclusione dalla gallery di Facebook.

Dimostrazione di soglie minime di inchiostro per accedere nella gallery delle ragazze con la macchina fotografica

p.s. se l’immagine qui presente lede la vostra sensibilità o i vostri diritti, avvertitemi prontamente e mi scapicollerò ad eliminarla; non ho euro a sufficienza per sostenere spese legali.

  • immagina di ascoltare una live session di Marvin Gaye su un atollo regalato da Equitalia

Il bello di posti del genere, di cui il Roll Over è il fulgido stendardo, è che durante lo scorrere del tempo non si fa assolutamente nulla. Un nulla autentico. Artistico.
Non essendo bellissimo e vergognandoti di quanto gli altri lo siano: non puoi ballare.
La troppa gente bellissima, in troppo bellissimo e piccolissimo spazio è un impedemento reale nell’effettuare danze che implicano più di un andirivieni di falangi.
Inoltre, bere, a causa di una coda simile solo ad una Tac al Gemelli, è altrimenti arduo.
Quindi, per godere un’esperienza che in realtà non stai riuscendo a vivere, devi scordare di stare ascoltando Ciccio Cicciotti [nome di fantasia] e credere di godere dell’ultimo live di Marvin Gaye (risorto) su un atollo regalato da Equitalia.

Perciò caro zio , tu non crederai possibile che la gente perda così tante calorie per entrare in un posto le cui barriere all’entrata sono il punto forte dell’offerta commerciale. Però è proprio così.
E al di là di quello che tu reputi sensato o meno, al Roll Over questo non fa nè caldo nè freddo. Tutt’al più, lo reputa in un solo modo: bellissimo.