Ector, l’inquilino che russa assai.


Siamo rimasti in trentanove in questa città.
Tra questi, purtroppo, si annovera anche il mio coinquilino. Attenzione, non quello storico, conosciuto e omerico, bensì un altro, affidato dagli dei delle pareti in cartongesso: Ector.

Ector è il capostipite di una famiglia sudamericana.
Non ho capito con esattezza di quale nazione, tendenzialmente perché le stranezze di Ector sono già troppe perché si possa investigare sui suoi lidi natii.
Porzioni di vita di Ector aleggiano nel mistero.
Un mistero che le pareti di zucchero a velo stanno erodendo con costanza, giorno dopo giorno. I maledettissimi finti limiti che ci dividono infatti, son talmente sciocchi che mi lasciano sentire Ector e sua moglie russare, amoreggiare, litigare. Mi permettono di ascoltare il loro figlio chiamare “tìo”, un fantomatico zio, in accanite partite alla Play station.

Mi concedono soprattutto, da due anni, il privilegio di arrovellarmi nella comprensione di cose apparentemente inspiegabili.
La prima di queste è il sentire gridare da Ector, in ore random del giorno e della notte: Berlusconiiiiiii. L’oggetto di questo “nomignolo” sarà il figlio, un animale domestico, un amico metodico che telefona sovente? Non è dato saperlo. Non è detto che in questa vita si possa avere una risposta.
La seconda cosa che Ector mi da il personale privilegio di auscultare, sono le sue capacità polmonari. Ector russa talmente tanto e talmente forte che in un recente focus group fatto nei pressi dell’ascensore è emerso che il suo ronfare rimane più memorabile anche della rissa con machete volanti, avvenuta nell’inverno del 2014.

Peccato che gli altri trentotto, rimasti intrappolati in questa città, adesso non possano sentirlo. Non riescano a sentire quanto forte russa Ector.
Anzi, rettifico. Beati loro. Perché se adesso potessero ascoltarlo, non dormirebbero mica.
Ascolterebbero, probabilmente, anche loro un pezzo del maestro Lugi Lai.
Probabilmente…

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