ELSA SPINACI S2E3


LA FALSA SOLITUDINE DEL SIGNOR MARIO BELOZZI

Quando ricevi una chiamata da un numero fisso sai già che qualcosa di inopportuno sta per palesarsi. Il tuo cervello inizia a formulare delle scuse gentili e credibili per il tipo di servizio che un operatore albanese, sardo e indipendentemente dalla provenienza geografica, sottopagato, proverà a venderti.
Io utilizzo sempre l’approccio del: “La ringrazio, ma al momento abbiamo già questo tipo di servizio”, anche se mi stanno provando a vendere degli eco shuttle per partire su Marte; la ringrazio, ma l’ho appena comprato sul sito della Tesla, sa, la scorsa settimana c’erano i Saldi…

Giovedì mattina infatti, quando ho visto la chiamata che mostrava con un +02 iniziale, ero pronto a menzionare solo il tipo di fornitura di cui ero già fiero e in possesso, preparando nella mia testa il gentile rifiuto al servizio offerto. Qualcosa però si è inceppato. Dall’altra parte del telefono non c’era nessun operatore outbound. Grazie all’eco preistorica e al silenzio che è intercorso dopo il mio “pronto”, ho capito che dall’altro lato della cornetta c’era Mario Belozzi (S1-E10)

– Signor Giooorgiooo, giustoooo?
– Sì, esatto. Con chi parlo? – domanda falsa e retorica, per l’appunto.
– Ah, chee piacereeeee. Sono il signor Belozziiiiii, come staaaaa?
– Bene, bene. Lei?
– Anche ioooooo, molto beneeeee – precisava Mario Belozzi, dalla casa entrata nel Guiness dei primati come la casa con più eco in Europa. – Mi fa piacereeeee che anche lei stia beneeeee.
L’ultima volta ci eravamo sentiti con il Mario e sua moglie, la sua ghostwriter che tesseva per filo e per segno il suo discorso telefonico, per dei formali ringraziamenti. Avevamo pagato loro una bolletta e ci tenevano a ringraziarci. Credevo che anche oggi il Mario mi avesse chiamato per un servigio analogo, che avrei fatto tra l’altro con tutta la gioia del mondo.
– Signor Giorgio, la disturbooooo?
– No affatto signor Belozzi, mi dica pure.
– Guardiiiii, in realtà l’ho chiamataaaaa perché mi sentivoooo un pò solooooo
– Oh, è molto gentile da parte sua mostrarmi così tanto affetto. – considerando che tutto sommato non so neanche come sia fatto e che in vita mia le ho solo pagato una bolletta, cosa che ho pensato ma non detto – Son contento che abbia chiamato per me.
– È un piacereeee signor Giorgiooooo. È che l’altra volta al telefono mi ha fattooooo una buona impressioneeee. Cosììììì, visto che mia moglie è uscitaaaaa a fare la spesaaaaa, mia figlia a Casertaaaaa non mi risponde maiiii, mio nipoteeee ha dettoooo che stavaaa facendo lezioneeee su Interneeet, a quel punto mi sono dettoooo: quasi quasiiii chiamo il mio vicinoooo.
– Ha fatto benissimo signor Belozzi. Davvero. È un bellissimo gesto.

Insomma, si era creato un feeling inaspettato, un’empatia artificiosa ma naturale. Quasi da nonno a nipote. Poi però ad un certo punto si è palesato un rumore. Si è sentito un gracchiare prolungato seguito da un tonfo. Una porta, poco oliata, che nella caverna del signor Belozzi ha prodotto una vera e propria deflagrazione.
– Signor Giorgioooo, mi scusi è arrivata mia moglie – si è interrotto guardingo il signor Belozzi, quasi sussurrando.
– Mariooooooo, con chi stai parlandoooo?
– Mi sa che dobbiamo chiudere signor Giorgio…. Marisaaaaaa, è unoooo delle televenditeeee al telefono. Gli ho dettooooo però che non sonooo interessatoooo.
– Signor Belozzi, ma come…?
Tu tu tu tu tu tu tu tu tu tu tu…
Mario Belozzi ha riattaccato e mi ha chiuso il telefono in faccia.

È finita così. Scaricato, come il peggiore dei venditori di trading online, da un vecchietto di origine campane che non ho mai visto in volto. D’altronde si sa: l’outbound dà, l’outbound toglie.

ELSA SPINACI – S2E1


BABBO LEGHISTA

Durante la vita di prima mi capitava spesso di prendere l’ascensore con il Babbo leghista. Lo chiamavo così non perché andasse regolarmente sul sacro suolo di Pontida. Lo chiamavo Babbo leghista perché padre di due figlie e perché nell’angusto spazio dell’ascensore che ci conduceva nei rispettivi immobili, mostrava un atteggiamento “un po’ leghista”. Quella malcelata diffidenza, mista ad un’espressione facciale condita con del robusto fastidio latente, tipica degli elettori e dei politici leghisti. Spesso, in questi tragitti, i suoi occhi chiari, coperti da lenti color panna mi dicevano inequivocabilmente: non mi piace la tua barba, non mi piace il tono amichevole che mostri durante questi 3 piani di ascensore, non sono affatto convinto che tu, ragazzo barbuto e meridionale sia una risorsa fruttuosa per questo condominio.

Questa era l’impressione che dava a me. Magari però fraintendevo. Forse il suo sguardo torvo era sola timida curiosità. Vai a sapere…

Il Babbo leghista in ogni caso ha 2 bambini. Bellissimi. Sembrano delle linci di montagna. Hanno degli occhi chiarissimi, affusolati e il loro colorito olivastro dona loro un aspetto esotico. Devono aver preso tutto dalla mamma, visto che il loro babbo leghista ha le fattezze di una caciotta. Non fa nulla tra l’altro per non sembrare una caciotta. Veste volutamente larghetto e i suoi abiti sembrano quel tipo di plastichina che avvolge i latticini nel reparto formaggi della grande distribuzione. La sua somiglianza ad una caciotta mi ha a lungo tenuto interrogato sull’effettivo nome da attribuirgli, se Babbo leghista o Babbo Caciotta. Ha prevalso la prima, essendo la sua attitudine leghista più spiccata di quella casearia.

I bellissimi figli di Babbo Leghista vengono portati “fuori” giornalmente. Fuori in questo caso è inteso come: lo spazio dei box, che danno sulla finestra dove pratico da due mesi lo smart-working e un cortiletto interno, che affaccia sul terrazzo della cucina, dove abitualmente mangio.
I bimbi bellissimi di Babbo leghista quindi sono sempre con me. Sono con me quando lavoro, impegnati in giretti sulle biciclettine nei box; sono con me quando mangio, a scoprire le meraviglie della natura nel cortiletto interno. Carla e Amedeo, bambini bellissimi del Babbo leghista, tanto son belli, tanto frantumano la minchia. Anche qui, ho meditato a lungo sull’utilizzo di un’espressione così greve e anche qui, dopo un’accurata analisi S.W.A.T. ho scelto volutamente questo tipo di espressione. Perché i bambini bellissimi del Babbo leghista, non danno fastidio. Non sono esuberanti. Non sono vivaci e/o necessitano di evadere l’immobilismo domestico forzoso. No, Carla e Amedeo, frantumano la minchia. Le cose vanno dette per come sono.

Se esistesse un prontuario scientifico per esasperazione indotta, Carla e Amedeo sarebbero magnifici rettori. Gli studenti penderebbero dalle loro labbra mentre spiegano le tattiche di esaurimento condomini attuate dall’inizio di questa domiciliazione forzata. Le vado ad elencare qui di seguito, per futura e comune memoria.

PRIMA REGOLA DEL MANUALE ESAURIMENTO CONDOMINI: nominare senza sosta durante la permanenza all’esterno il nome del genitore munito di vezzeggiativo: papinooopapinoopapinoopaponeepaponeepapinoo guarda, guarda, guarda, guarda, papino guarda; o al contempo, quando necessario mamminaamamminaamamminaamamminaa vedi, vedi, vedi, mammina vedi.
SECONDA REGOLA DEL MANUALE ESAURIMENTO CONDOMINI: pronunciare qualsiasi cosa con toni di voce da soprano. Delle petulanti ed ininterrotte vocine stridule che distruggono qualsiasi altro tipo di pensiero e riflessione circostante.

TERZA REGOLA DEL MANUALE ESAURIMENTO CONDOMINI: indurre una risposta di approvazione da parte del Babbo leghista (o al contempo dalla mamma), i quali martoriati dalle richieste della prole intervallano i papinoopapinoopapone vs mamminaamamminaamamminaa con dei cadenzati: sì Carla, sì Amedeo, si Carly, sì Ame, dando quindi un risultato finale del tipo : papinooopapinoopapinoo sì Carla, paponeepaponeepapinoo sì Ame, guarda, guarda, guarda, guarda, sì guardo.

QUARTA REGOLA DEL MANUALE ESAURIMENTO CONDOMINI: soffrire e piangere come durante un’amputazione di un arto non appena viene pronunziata la seguente espressione: “bambini dai, saliamo”. Piangere insieme, per molto tempo, disperati, fino a quando non si è entrati in casa. Per circa 8 minuti quindi.

Tutti in questi giorni si chiedono come sarà la nostra vita una volta sconfitto il virus. Se torneremo a vivere come se nulla fosse accaduto. Tutti discutono i modelli comportamentali che ci hanno accompagnato fino ad ora. Andranno cambiati o rimarranno gli stessi? L’unica cosa su cui io invece mi arrovello da giorni invece è se in uno dei prossimi viaggi in ascensore avrò l’ardire nel pronunciare le seguenti parole:
– Babbo leghista, sappi che Carla e Amedeo sono due bambini stupendi. Fantastici. Per tutta la quarantena però hanno davvero frantumato la minchia.

ELSA SPINACI – S1E10


LA FAMIGLIA BELOZZI

Uno dei grossi rimpianti di questa quarantena è non aver conteggiato lavatrici e lavastoviglie effettuate. Da inizio lockdown dovrei essere su 50 lavastoviglie e 20 lavatrici. Almeno così sostiene la Protezione Civile. Pensavo a questi numeri, all’efficacia e alla correttezza del conteggio, a quando Borrelli li avrebbe decanati in conferenza stampa, quando Jerry, il portinaio, mi ha chiamato dall’interfono.

Son sceso in portineria e dopo parecchie indagini linguistiche sono riuscito a capire che dei vecchini del palazzo avevano chiesto se qualcuno potesse pagare loro una bolletta dell’Internet. Dal tabacchino o con il telefono magari, come fanno i giovani…
– Signor Sjoorsjo, buoi bagare tu? Eh eh. – mi ha chiesto il portinaio nel suo adorabile Jerrese.
Ho pagato la bolletta della famiglia Belozzi tramite il telefono, essendo un giovane. Ho stampato la ricevuta. Ho preso il corrispettivo del pagamento e ho inserito il resto nella busta, restituendo poi il tutto a Jerry.

Alle 15:30 il mio cellulare, giovane, ha iniziato a vibrare, mostrando una chiamata da un telefono fisso. Ero pronto a rispondere in maniera pungente all’ennesimo tentativo di retention di un operatore sardo, quando dall’altra parte del telefono ho sentito:
– Proooontoooo.
– Si, pronto?
– Lei è Giorgiooooo?
– Si, esatto. Con chi parlo?
– Ciao Giorgio. Siaaaaamo i signoriiiii Belozziiiii – mi hanno risposto probabilmente da una caverna o dall’appartamento meno ammobiliato del quartiere, a giudicare dalla quantità di eco. –
Signor Gioooorgio, volevaaaaaamo ringraziarlaaaaa per la bollettaaaaaaa.

Bene, quello che è difficile trasferire, ma ci proverò comunque, è il meccanismo comunicativo della famiglia Belozzi. Ad interfacciarsi con me, alla cornetta, c’era il signor Belozzi; ogni cosa pronunziata dal signor Belozzi però veniva suggerito dalla ferrea signora Marisa, moglie del Belozzi. La cosa straordinaria è che i due, marito e moglie, non hanno mai avuto percezione che questo loro dialogo interno fosse in realtà perfettamente udibile.
La telefonata infatti è stata più o meno questa:

– Digli che è stato gentile – Marisa Belozzi dice a suo marito, “bisbigliando”
– È staaaatoooo mooolto gentileeeee signor Giorgioooo – il Signor Belozzi dice a me, con ingenti dosi di eco.
– Si figuri signor Belozzi. È stato un piacere.

– Digli che è stato gentile!
– Gliel’ho detto Marisa. Gliel’ho già detto…
– Allora digli che ci dobbiamo conoscere e rendere la gentilezza ricevuta.
– Signor Giorgioooo, noiiii non ciiii conosciamoooooo. Non ciiii conosciamoooo ancoraaaaaa – sempre il signor Belozzi dalla caverna – pensi, non sappiamoooo nemmenoooo in che pianooo abitiamoooo. Quando tuttooo questooo sarà finitoooo però vorremmo ringraziarlaaaa di personaaaa.

– Digli che magari possiamo offrirgli delle torte o del the.
– Signor Giorgioooo, magari quando tutti staremo beneeeee potremo offrirvi della cioccolataaaaaaa.
– Mario, dovevi dire il the, o delle torte, perché hai detto la cioccolata?
– Marisa, stai zitta un attimo, Marisa!
– Che ne diceeeeee signor Giorgioooooooo?
È dopo questa proposta che ho iniziato a vacillare. Bisognava rispondere con un sì alla cioccolata del signor Belozzi o alla proposta originaria di torte di sua moglie? Ci ho pensato su parecchio, 3 secondi forse. Quando però è arrivato l’ultima trasmissione dell’eco originaria, ho risposto:
– Signor Belozzi, le ripeto, è stato una grande gioia potervi dare una mano. Accetto volentieri l’invito e non esitate a contattarmi nuovamente per delle commissioni del genere – un po’ thankyou page post acquisto di un ecommerce, ma abbastanza svizzero da evitare dissidi nella coppia.
– Va bene signor Giorgiooooo. Graaaazieeeee. Graaaazieeeee. Graaaazieeeee. Graaaazieeeee.

Si è conclusa così la chiamata. Con un eco infinito di grazie. E un pareggiamento delle bollette nel faldone di casa Belozzi. Anche loro, nella casa dell’eco, potranno tornare a fare lavatrici e lavastoviglie senza sosta. Sembra poco ma in realtà sò soddisfazioni.

Signor COVID-19: grazie degli spunti


Nonostante un’economia distrutta, degli squilibri emotivi di massa e una clausura globale, gradirei comunque ringraziare il signor Covid-19, vista la possibilità che mi ha dato di interrogarmi su 5 tematiche molto interessanti. Cercherò di elencarle tutte, ponendomi molte domande, ricevendo poche risposte.

1) LA MERCE
Partiamo da qui. Non era mai capitato ai ragazzi della nostra generazione, cresciuti nell’agio tardo capitalistico, di percepire delle lacune sul soddisfacimento di beni primari, come il cibo. Di sentirsi, come in questo periodo, minacciati sull’assenza della primissima necessità.

Come ad eccezioni di disastri naturali, io personalmente, non mi ero mai interrogato su come: fabbrica, merce, magazzini, trasporti, vendita e profitto fossero intrinsecamente connessi. E come l’assenza di un solo di questi tasselli mortificasse tutta l’impalcatura di produzione e benessere connesso.

Inoltre, quello che stiamo osservando nell’immediato è la supplenza (quando possibile) del digitale sul retail/fisico. Con una domanda implicita e costante: fino a che punto questa supplenza sarà sostenibile? Sarà necessaria una riconversione della forza lavoro? Sarà possibile assorbire tutta la domanda e convertire tutta l’offerta, tramite uno switch di canale, forzoso?

Le risposte che mi sento di dare a questa prima tranche di interrogativi è un sonoro: BOH! Questa Fase Uno prevede tante domande. Le risposte latitano. By the way, come direbbero gli amici del marketing, grazie signor Covid 19 per lo spunto.

2) LA VELOCITA’
No, non menzionerò le esaltazioni futuristiche della velocità del secolo scorso, né citerò anche solo per scherzo la purezza stilistica di Carl Lewis o l’etica del lavoro di Usain Bolt. Purtroppo.
Bensì esplicito, anche se già chiaro a tutti, che quello che sta facendo il signor COVID-19, in questo caso, è una crociata implicita sulla velocità. Sulla velocità a cui noi ci eravamo del tutto assuefatti.

È tutto più lento. È lenta la nostra vita (forzata in mura domestiche). E’ lento il riprendere della socialità (la quarantena per molti sta diventando fattuale, di 40 giorni).
Quello che personalmente mi chiedo, sorprendendomi per l’originalità della domanda, visti i tempi è:
a) sarà possibile riprendere la vita alla velocità a cui eravamo abituati?
b) se non proprio alla velocità di prima (2020) ed escludendo la velocita di “prima pima prima” (anni ‘50), sarà necessario ritornare alla velocità di “prima”, del 2010 ad esempio? La vita ai tempi dei trilli MSN Messanger?
c) Se no (come pochi si augurano) che impatto avrà questa riduzione sulla produzione della merce?
d) Se si: volemose bene! Problema risolto.

Può sembrare che sia ossessionato dal ruolo della merce, e forse lo sono. La mia però non vuole essere un’analisi e una visione marxita del problema. Credo però che merce (intesa anche come servizi), velocità e produzione, da settant’anni a questa parte, siano l’ossatura della nostra società.
Abbonatemi perciò il particolare focus sul tema.

3) L’INDIVIDUALISMO E LA COLLETTIVITA’
Anche in questo caso, siamo stati forgiati sul culto dell’individualità e sul valore delle libertà (astenersi ovviamente cittadini di regimi autoritari).

Non fa sorridere come la soluzione ai problemi collettivi, nell’era del signor Covid-19, potrà realizzarsi solo tramite un esercizio di azioni “collettive”? Restate a casa. Non solo io, non solo tu, non solo mio cugino: tutti. Se io, tu e mio cugino, continueranno ad anteporre le proprie partite di curling o le visite dall’otorinolaringoiatra per controlli di routine, tutti, la collettività, potrà riprendere la propria vita tra qualche anno, non tra qualche mese. Questa rivincita dell’obbligo collettivo sul predominio culturale dell’individualità, a me un po’ fa sorridere.

Anche l’espressione (e la comunicazione) dell’individualità sta patendo le angherie di una collettività imposta. Io, anche se tappato in casa, sono libero di fare torte, di fare yoga su Zoom, di fare allenamenti per gli addominali, di fare challenges. In maniera molto originale e in contemporanea con tutto il mondo. Distanti ma vicini, certo, ma ancor più: da soli ma insieme. Un’individualità talmente collettiva che si omologa e diventa collettiva.

E infine, nonostante il ruolo dell’individuo e il culto della libertà, cosa bramiamo maggiormente nelle nostre splendide casette isolate (e in maniera ancora maggiore adesso, con l’avvicinarsi delle feste pasquali)?
Vogliamo stare insieme. Diciamocelo. Non è peccato. Vogliamo sentirci meno soli. Perché siamo animali sociali. Siamo una somma di individualità che formano un collettivo. Volente o nolente.

Ah, io la cosa che bramo maggiormente è farmi un giro in bici, di sera, con la brezzolina primaverile. Ma questo è un altro discorso…

4) CITTA’ – STATO – NAZIONE
In merito ho sentito delle riflessioni interessanti da parte di qualche mente leggermente più scaltra della mia. Zizek, Baricco e Cacciari, solo per citarne tre.
Il dato che è emerso con maggiore forza, uno dei tanti, certo, è che il signor Covid-19 ha contribuito a fare in pezzi con una certa facilità è il concetto di confine. Il virus non ha guardato in faccia a bianchi e neri, a tesserati o non tesserati, a baresi o leccesi. Il virus è stato democratico. Ha avuto pensieri mortiferi per tutti. Senza alcuna distinzione. Mettendo in luce, ancora una volta, come le distinzioni di specie, razza e territorio, sono accomodamenti concettuali, a volte utilitaristici.
La sua essenza democratica e volatile ha messo in luce allo stesso tempo:
– l’impossibilità del non perseguire intenti ed accordi globali e attuarli su scala locale (se le nazioni avessero seguito il modello cinese (entità globale) probabilmente gli effetti su Codogno o le valli bergamasche (entità locali) sarebbero stati decisamente minori.
– l’impossibilità di privilegiare e coltivare solo gli aspetti positivi e e/o finanaziari del capitalismo, senza pensare che ricadute negative (sanitarie) possano essere figlie della stessa globalità.
Prendendo come esempio le mascherine (punto 1) bene merceologico cardine di questo periodo storico: se fossero state prodotte e smerciate su scala globale (punto 4) con una velocità necessaria all’occasione (punto 2), gli impatti sarebbero stati decisamente minori su tutti gli individui (punto 3).

E comunque, vista la ricorsività degli impatti del Signor Covid-19 su merce e produzione e velocità, mi inizio a chiedere se non sia proprio il modello capitalistico, fondato su questi due cardini, a dover essere un attimo ripensato.

5) FUTURO
Tra i beni di consumo più venduti, oltre al cibo, all’amuchina e le mascherine, le fonti ufficiali non rivelano il più strambo: le sfere di cristallo. Dopo averle acquistate, siamo tutti da settimane ad interrogarle, cercando di capire che tipo di futuro ci troveremo a vivere.
Quando torneremo ad avere una vita normale? Il virus ritornerà? Chi si è ammalato in questo periodo, potrà riammalarsi? Si potrà tornare a viaggiare? Si potranno rivivere senza patemi gli spazi sociali collettivi?
Mi piacerebbe poter dare una risposta netta ad ognuna di queste domande.
Considerando però che sui quattro punti precedenti non ho un quantitativo considerevole di risposte e che la sfera di cristallo non mi è ancora stata consegnata, temo dovremo aggiornarci tra qualche mese.

Se possibile, senza il signor Covid-19, che ci ha tanto aiutato a porci delle domande, senza dubbio, ma che allo stesso tempo, scusate il francesismo, ha rotto il ca**o.

Mi raccomando, fate i bravi e leggete questo articolo rigorosamente da casa.

ELSA SPINACI S1E7


ATTILIO

È sabato. Fuori il tempo è grigio. Non brutto, non bello: grigio. Una bacinella di vestiti e biancheria, appena lavati, mi guarda in pena. Vuole essere riposta ad asciugare, sul balcone.
Parto dalle magliette, per far fuori gli oggetti più voluminosi. Procedo con le calze, infide e malvagie, difficili da accoppiare, quando ad un un certo punto, a metà dell’impresa, appare una figura dal balcone superiore. È Attilio. Attilio Spinaci.
Claudicante, come effettivamente descritto da sua moglie Elsa, ci mette un bel po’ a percorrere il mezzo metro del balcone.

Giunto al bordo esterno, poggiati i gomiti sullo stesso, dall’alto in basso mi dice:
– E quindi lei sarebbe il signor Giorgio?
– Si, esatto, salve – rispondo interdetto con in mano un calzino dal pattern natalizio. Sono le calze desuete le vere vincitrici di questo periodo di quarantena, stanno vivendo il loro periodo aureo, inatteso.
– Ho sentito parlare di lei, sa?
– Ah, sì? – rispondo spiazzato. Attilio Spinaci intanto scruta l’orizzonte, fatto di bassi loft e palazzi anni ’70.
– Sì.
Dopo 10 secondi di tempo, durati 10 lustri, interrompo il silenzio e prendo in mano la conversazione.
– Immagino gliene abbia parlato sua moglie Elsa, giusto?
– Certo. E chi sennò? La Divina Provvidenza? – mi stronca così Attilio, perentorio e distaccato come un Navajos nella sua riserva indiana.
– Ah. Eh. Certo – è ufficiale, non so più che dire. Le calze orribili nella loro bacinella mi appaiono sempre più per quello che effettivamente sono: calze orribili.
– Anzi, le dirò di più – finalmente adesso Attilio smette di scrutare i loft e abbassa il volto verso il mio balcone – mia moglie mi ha parlato molto di lei. Mi ha detto che era proprio un bel giovinotto, con un bell’aspetto, una barba rinascimentale, dei modi molto gentili e delle origini gallesi.
– Beh in teoria non sono gallese infatti…
– Mi lasci finire signor Giorgio. Dicevo, mia moglie mi ha parlato molto di lei. Descrivendola in maniera entusiasta. Posso dirle la mia?
– Certo signor Attilio.
– A mio modo di vedere, in tutta onestà, lei non è un granchè.
Ed è così che Attilio, pronunciate queste parole, si gira su sè stesso, ripercorre a piccoli passi il mezzo metro del suo balcone, posa le mani sull’architrave delle finestre e degnandomi dell’ultimo sguardo, prima di rientrare in casa mi dice:
– Buon weekend Signor Giorgio.

Va bene la zona rossa, va bene la quarantena, va bene l’isolamento di gregge, va bene la pandemia ma alle valutazioni a ribasso di un ottantenne mezzo zoppo, onestamente non ero pronto. Non credo fossero presenti e autorizzate nell’ultimo decreto Conte. E a voler sdrammatizzare, guardando gli ultimi indumenti rimasti nella bacinella, sotto un cielo grigio e silente di Milano, non credo fossero un granchè.

ELSA SPINACI – S1E6


LE RADICI CA TIENI

Stiamo tutti sul balcone. Chi canta, chi balla, chi pranza, chi, come me, da un piano all’altro ha la fortuna di conversare con la Signora Spinaci, giovinastra ottantenne del condominio.
– Come va signor Giorgio?
– Un incanto Signora Elsa. Lei come sta? – sorrisi e saluti tra il sesto e il quinto piano.
– Abbastanza.
– Bene o male?
– Bene, signor Giorgio. Bene.
– Come stanno i suoi cari?
– Anche loro, fortunatamente molto bene.
– Lei è di Milano signor Giorgio?
– No, sono di Barletta. Vivo però a Milano da molto tempo.
– Davvero? Non avrei mai detto che lei era del Meridionie… i suoi colori, il suo accento: ingannano.
– Eh già. Non è la prima che mi viene detto. Da dove avrebbe detto che arrivo?
– Mah, dal Nord… dal Trentino, dal Veneto, o dal Galles forse…
– Come mai proprio dal Galles?
– Le si confà, il Galles.
– Questa affermazione invece è la prima volta che mi viene detta.
– C’è sempre una prima volta, lo sa Signor Giorgio? Immagino che anche questo qualcuno gliel’abbia già detto, nevvero?
– È proprio così. Lei non sbaglia un colpo, signora Spinaci.
– Non dica così. Non è vero. Tutti sbagliamo. L’importante è imparare dai propri errori. Sa invece chi è l’unico che non impara dai propri errori?
– Mmm no, cioè adesso non mi viene in mente. Non so, il diavolo?
– Ma che diavolo… mio marito, Attilio – suo marito, un must nelle nostre conversazioni.
– Suo marito Attilio è il diavolo?
– No, mio marito Attilio è un angelo. Ma sono 40 anni che sbaglia i biscotti al supermercato. Io ogni volta gli dico: Attilio, comprami per favore i Gran Cereali classici e lui compra i Gran Cereale new edition. Come si fa ad errare ogni volta? Ogni santa volta? Non è difficile, non crede? Eppure erra ogni volta. Ogni volta. Per fortuna che adesso è un po’ zoppo e non può più andare al supermercato…
– Eh già, santa Zoppia, protettrice dei biscotti.
– Eh eh eh – tris di risate scommesse – mi piace il suo senso dell’umorismo, Signor Giorgio. Senta, la saluto. Rientro in casa. Sono: un quarto alle 11. Vado a preparare il pranzo ad Attilio.
– Buona giornata signora Elsa e buon pranzo.

ELSA SPINACI – S1E4


LA ZONA ROSSA

E lei come si sta trovando col Corona Virius? mi ha chiesto ieri la signora Spinaci.
Bene Signora Elsa, abbastanza bene, le ho risposto scandendo le parole. È un po’ sorda Elsa Spinaci, giovinastra ottantenne del mio palazzo….

Le ho raccontato della mia vita forzatamente sedentaria. Le ho spiegato cos’é lo Smart Working. Cose così, argomenti da ascensore.
Poi è arrivato il suo turno. Mi ha detto che suo marito, Attilio, esce poco, per paura di prendere il Virius. Meglio che stia a casa…

Sa però cosa davvero mi è antipatico di questo Virius, signor Giorgio?
Cosa? Le ho risposto.
Beh da quando c’è questo Virius, a Messa non è più possibile scambiarsi il segno di pace. Sa, questo è davvero fastidioso. È il mio momento preferito della Messa. E questo Virius me l’ha tolto… Sia io che le mie amiche siam davvero tristi per questo.

Mi rendo conto, Signora Elsa. Deve essere davvero terribile non potersi scambiare il segno della pace, a Messa.
Adesso la saluto però. Buona Zona Rossa, Signora.
Buona Zona Rossa a lei, signor Giorgio.

Rassegnatevi


Rassegnatevi.
Ai figli delle vostre amiche, ai figli dei vostri amici, ai vostri amici che non possono avere figli, ai vostri figli che non possono avere amici, ai vostri figli che non possono avere figli.

Rassegnatevi.
Alla cellulite, alla calvizie, all’adipe sull’addome, alle smagliature.

Rassegnatevi al clima che cambia
al nuovo che avanza
al vecchio che muore
alle giacche anni 80
alla scala 40.

Rassegnagevi al lavoro,
alle bollette, all’affitto, al profitto, al conflitto.
Al giudizio, al pregiudizio, alla menopausa, ai peni flosci, ai peni lunghi, al fatto che prima o poi dovrete invecchiare, avere le rughe, la pancia e morire.

Rassegnatevi ai nipoti non arrivati
ai consigli non ascoltati, ai: te l’avevo detto io,
alle gite in gruppo, alle pizzate alle 7e mezzo di sera, alle feste di compleanno dei bambini, alle chat delle mamme dell’asilo.

Rassegnatevi: al suhi, al kebap, alla cucina bio, ai ristoranti etnici, alle pizzerie, alla Lega, a Tik Tok, ai centri estetici, ad Alitalia che fallisce, alla diossina, ai tumori, al cancro, agli astrologi, ai dietisti ai trapianti, agli Airpods, ai resoconti su Facebook, al dover cambiare idea, alle femministe, all’Inter, ai calzini colorati, ai fantasmini, all’omeopatia, alle auto elettriche.

Rassegnatevi cazzo.
Vi dovete rassegnare. Ras se gna re.
Vi dovete rassegnare a quello che non capite, a quello che non digerite, a quello che vi fa stare bene, a chi vi fa soffrire, a chi vi ignora, a chi non vi saluta, a chi dovrebbe darvi una mano e non vi aiuta.

Vi dovete rassegnare. Siam nel 2020.
E bisogna vivere. Non le chiacchiere.

L’invenzione migliore del mondo


Quando
ci si parla
dell’invenzione
migliore del mondo
tutti quanti
ci si dice:

– la macchina
– l’orologio
– le sigarette
– le barzellette
– l’Iphone
– Beppe Grillo
– il forno
– Sharon Stone
– la penicillina
– la pennichella
– il Gin Tonic
– la Rustichella
– la Bomba
– il Meneito
– il Tiburon
– le cognate
– le scommesse
– Toto Cutugno
– le commesse
– Frankestein

mai nessuno però
nomina
la più semplice
e la migliore
di tutte:

la combinazione
dei 2 tasti
della tastiera
del computer:

TAB + ALT

Giorgio Damato: quante copie di “Mastica bene che stanno le spine” ha venduto? 


È una giornata speciale.
Posso finalmente rispondere alle pressanti domande che la stampa mondiale mi pone da mesi:
Giorgio Damato quante copie del libro ha venduto?

141 matti, sul web, hanno comprato Mastica bene che stanno le spine.
Un grande risultato per me e un passo avanti verso la fama letteraria universale.
Ma non è ancora abbastanza…

L’anno prossimo voglio diventare multimilioneuro.
E tu, lettore, devi aiutarmi.

Compra anche tu: Mastica bene che stanno le spine e fammi diventare multimilioneuro.
Se lo fai, ti giuro che diventerò più savio di San Domenico Savio

giorgiodamato-masticabenechestannolespine