L’amore ai tempi degli HIpster vol. 14


La facilità di alcune persone a raccontarti la loro vita; la correttezza nell’essere femminista e la scorrettezza dell’essere maschilista; lo stupirsi, ogni volta, dell’odore della pipì dopo aver mangiato gli asparagi.

Il casco sulla testa, in bicicletta, in città.

Il trend degli articoli con i decaloghi, otto dei quali del tutto inutili.

Il dolore del bicipite, al bicipite, per le telefonate senza auricolari.

I giorni troppo pieni di compleanni.

L’arroganza di chi non segue gli eventi nazionali ma non vuole che il giorno dopo se ne parli.

Il nodo della cravatta fatto male.

Il lamentarsi di un’inaspettata ondata di freddo, come se il freddo prima di arrivare dovesse annunciarsi.

Le serate dei PR, sempre imperdibili, incredibili, irrinunciabili.

La pluriabbondanza di cuscini nel letto.

I traslochi fatti con il car sharing; i jeans strappati indossati con due gradi sottozero; il conta persone sugli aerei, ormai estinto.

I cantanti del Sud Italia che cantano le canzoni napoletane; quelle che vanno malate a lavoro e cacano il cazzo per tutta la giornata che son malate.


oppure

Le frasi da campagna elettorale, in campagna elettorale.

Le signore che leggono i libri della biblioteca comunale; i due bicchieri scordati sul tavolo dopo che hai avviato la lavastoviglie; i fondi delle tazzine lunghe, incrostate di caffè.

Le persone che si mettono like alle foto pubblicate da loro stessi.

Quelli che si rubano i rompi-vetri  di emergenza, nelle metropolitane e nei tram.

L’impossibilità per una persona comune, di essere notato da una modella; l’illusione che mangiare il kiwi col cucchiaino sia più semplice; gli skaters, che non hanno mai freddo.

I turisti, nelle città straniere, con le maglie di calcio acriliche.

Quando fai il biglietto del treno e non te lo controllano; il progressivo restringersi dei gelati dell’Algida; l’aspetto profetico/ascetico che assumono gli organizzatori delle feste  quando le feste vanno bene.

I cartoni delle uova per insonorizzare; le foto delle spezie dei mercati del Marocco; i luoghi comuni sulla terza categoria calcistica.

oppure

Quelle che vanno in discoteca per comparire dietro al dj che suona.

Quelli che ridono troppo forte, troppo a lungo e in maniera prolungata;

Quelli che a calcetto si fanno sempre le squadre più forti.

La tristezza di gruppi di persone che rifanno i balletti di Grease.

La vece di Gino Paoli, 30 anni fa.

I padri gelosi delle figlie cesse.

Le suggestioni dell’omeopatia.

L’amore ai tempi degli Hipster vol. 13


Ecuadoriani (o ecuadoregni?) che si sfondano di alcol (o alcool?) ascoltando reggaeton da casse portatili.

Quei bambini che a 15 anni non vedono l’ora di dimostrarne 38.

I canti dei ragazzi delle azione cattoliche sulle bellezze di Gesù Cristo.

La cabina di regia; la scoperta quando sei in ferie, di una categoria temporale reclusa ai lavoratori d’ufficio: il pomeriggio; quelli con la sciarpa, d’estate, con 45 gradi.

I film di mazzate dove vanno tutti quanti contro il più forte ed invincibile, però uno alla volta

La grama è prevedibile età della vita in cui si passa più tempo a pettinarsi la barba che i capelli.

L’ansia di dover mangiare pizza con i napoletani.

L’importanza del doversi addormentare prima che passi il camion della nettezza urbana.

Lo spaventapasseri, sempre sottovalutato, vista la sua maestria nello spaventare anche i merli e le cornacchie.

o

I trentacinquenni con la dicitura “studente presso” su Linkedin; I dj di quarant’anni che suonano ai post happy-hour. gli ottantenni che camminano mano a mano.

Quelli che invece di leggere Garcia Marquez leggono la Bibbia; l’immoralità dello jogurt dopo pranzo; le magliette di certe donne, comprate in base ai tatuaggi da esibire.

La prevalenza degli artisti che sono tali perché possono permetterselo.

La cinica tentazione di aggiungere sul cartellone “HO FAME” dei mendicanti: e vai dal cane.

Le tratte sfigate in promozione delle compagnie aeree: tipo Brindisi-Perugia.

Le magliette un po’ sollevate sulle pance, per strada, a causa del caldo. I porta spiccioli dei tassisti; le pubblicità dei materassi un pò porno.

I ragazzi giovani con i corpi sfatti.

La puzza di fumo, ancor più terribile quando raffreddato.

Una cantilena dalla glottide impastata, l’onta che pagano le donne sarde per la loro eccessiva bellezza.

o

L’abnormità dei piatti di pasta: metro di paragone dell’affetto nei tuoi confronti delle addette alla mensa.

L’estasi del sudore provocato dal paracetamolo quando sei malato.

Quella categoria di persone che durante un viaggio in pullman mangia incessantemente e senza sosta; quella categoria di batteristi che canta con la bocca aperta; la differenza tra prima e seconda punta.

L’ambaradan, con la m o con la n?

Il campeggio; le delusioni delle notifiche di linkedin; il seminterrato che in realtà non è semi ma quasi sempre tutto interrato.

I supermercati, il lunedì, alle 8 di sera; l’inclemenza dei krauti; la moneta da 50 centesimi, più grossa della moneta da 1 euro.

Le blogger, le food blogger, le fashion blogger.

L’attitudine al saluto (nascosta) dei cinesi negli ascensori.

I genitori che intimano ai figli, in spazi aperti e immensi: non correre.

Il vero dramma moderno: le mamme che non danno mazzate ai figli che gridano nei mezzi pubblici

Un brano per chi sa che l’inverno sta arrivando ma che per ora si gode questo sprezzante autunno.

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L’amore ai tempi degli Hipster vol. 12


Il prosciutto e melone; la fustigazione immediata per chi beve il mojito al cocco; l’invidia per chi, con molta fatica, c’è l’ha fatta (a prendere il tram).

Il congedarsi tra amici con l’espressione: un bacio, senza che qualcuno poi baci l’altro.

La tendenza ad aumentare “tutto” di un’ora : siamo arrivati intorno alle 6 ( mentre in realtà erano le 5).

Il rumore della striscia di plastica delle balle d’acqua.

I tizi che portano il portafoglio a forma di sanpietrino, nella tasca del pantalone.

Le cartelloniatiche che promuovono gli sms gratis, strumento utilizzato da 8 persone su 80000.

Quelle bone, che postano le foto delle Femmine bone, sobillando che loro non sono abbastanza bone.

L’espressione: io non guardo serie tv , ad eccezione di: Breaking Bad, Game of Thrones, Romanzo Criminale, Gomorra, Twin Peaks

Il finto caldo primaverile; le facce bislacche che  fanno i direttori d’orchestra quando dirigono; quelli che vanno a correre con le scarpe da calcetto.

o

Alcune bambine in alcune regioni d’Italia che ancor prima di avere i denti hanno orecchini sui lobi.

L’acqua nell’orecchio dopo la doccia; vedere Valentino e non il Gran Premio; il giubbotto di pelle.

Stranieri teneroni che non padroneggiano la lingua italiana e a un tuo grazie ti rispondono: grazie.

Le supremilf che a causa delle unghie lunghe scrivono con l’indice teso e le altre dita della mano, ritratte.

Gli imballaggi in polistirolo delle mozzarelle di bufala portate a mano dai ragazzi che arrivano dal Sud.

La scoperta dell’assenza delle sigarette a 3 secondi dall’uscita di casa.

La serenità nella vita che si raggiunge quando riesci a dire: stasera non esco.

I ragazzi di vent’anni che stigmatizzano le ‘nuove generazioni

Le porzioni di cibo rubate, da chi ti precede in mensa; il senso di onnipotenza del pagare le bollette con lo smartphone.

o

I party segreti, che però tutti sanno dove sono.

La pianta del piede, in macchina, fuori dal finestrino.

La bruttezza incontrovertibile di alcuni cani e l’alterigia immeritata con cui i loro padroni li portano a passeggio.

Fare mente “locale”; il mercato dei binicoli nelle ottiche; le brutte che non sai nemmeno tu, ma ti piacciono.

Il lasso di tempo in cui certi uffici comunali/universitari sono chiusi in cui ti chiedi, onestamente, perchè sono chiusi e soprattutto che fanno.

La prima regola di un’azienda: non spiegare mai una cosa, dì sempre chi ti ha chiesto di farla.

Il richiamo del mare per chi è nato sul mare.

Gli over 45 che ti chiedono di fargli, cortesemente, un selfie.

L’amore ai tempi degli Hipster vol. 7


La gioventù ingiustificata degli sportellisti della Banca Popolare di Sondrio.

La felicità debordante e immotivata nel vedere un bambino cino-marocchino, nel pullman, in un passeggino.

Le infradito con le calze che ti fanno i piedi come le Tartarughe Ninja.

Le ripetute espressioni di incredulità di fronte ad un acquazzone: madò come piove, guarda come piove, ma piove proprio tanto eh… come se il ripeterlo avesse delle ripercussioni sull’intensità del fenomeno atmosferico.

Orrendi nomi di giovani madri (Concetta, Carmen) che cercano rivincita sociale tramite i nomi delle figlie ( Desiree, Cloe, Denise).

La rivincita dell’omosessualità maschile nei confronti della società, applicata alle door selection dei party “in”.

La mappazza del tramezzino che si ficca sotto il palato e hai bisogno di scavare con la lingua per levarla.

I “likes” che prendi dalle persone sconosciute e ti portano a dire: e questo/a chi cazzo è?

L’eterna lotta tra il suonatore di fisarmonica della metro e il dolore nei timpani per il volume  degli auricolari

La bigia quotidianità di Filippa Lagerback.

La fine dell’età d’oro dei dentisti.

Le signore che entrano nei pullman e parlano, a prescindere; i militari con la barba curata.

Le mercerie e il pensiero che ti assale ogni volta che ne intercetti una: come fa a sopravvivere il proprietario di questo negozio?

La signora cinese a cui chiedi il piano dell’ascensore che ti risponde:
Gue zaa.
Si signora , che piano?
Gue zaaa.
Sì, 1 2 3 4 ?
Guest zaaa.
Va be signò, buona giornata.

Le colazioni del sabato mattina.

Le facce di alcuni preti/cardinali mentre osservano il nuovo Papa: ma questo da dove è uscito?

I sempre variegati terzetti a bordo dei furgoncini lungo le tangenziali.

Gli speriamo “in” bene; i caschetti per le biciclette; i ristoranti semideserti del lunedì sera.

L’estetica degli agenti immobiliari.

Lo spirito d’avventura sperimentato e sperimentabile nell’assaggio delle polpette in mensa.

I signori con unghie lunghe ( che non suonano la chitarra)

Quelli che la pipì in piscina, va bene se capita; quelli che la pipi in doccia, non solo capita ma è anche bellissimo e consigliato.

l’ascolto di questo pezzo è consigliato a coloro i quali credevano che le canzoni pre-suicidio fossero solo opera di Cocciante. E invece…

L’amore ai tempi degli Hipster vol. 6


Le passeggiate con gli ombrelli aperti anche quando fuori ha smesso di piovere.

Le Spice Girls, che vent’anni fa erano dieci anni avanti.

I doppiatori dei documentari di Discovery Channel che dicono tutto con troppa enfasi: “Incredibileeee questoooo hamburgereeer

Gli album dei rapper di sedici tracce, otto delle quali sono introduzioni con parolacce; spesso provo a pensare a chi lo ripropone, perché sicuramente c’è qualcuno che lo ripropone, in italiano.
Un album di un rapper italiano di sedici tracce, otto delle quali sono un lungo tappeto di: cazzo cazzo merda figa puttana, puttana, merda, culo culo culo di merda.

I volti di alcune persone evidentemente somiglianti al padre o alla madre, anche se non hai mai conosciuto nè il padre nè la madre.

I ragazzi siciliani che dicono la parola Minchia con la prima “i” di 6 minuti: miiiiiiinchia.

Le leggende dei contratti a tempo indeterminato.

I capelli di alcuni ragazzi diciottenni che non sanno ancora che tra dieci anni saranno Calvi.

I passettini delle donne con le gambe corte e i tacchi; quelli che comprano 8 kg di pop corn al cinema; i vigili con la paletta che dirigono il traffico.

Il fazzoletto di cotone con cui taluni uomini raccolgono il muco, lo fanno sedimentare all’interno e lo rimettono in tasca con nonchalance (ovviamente riutilizzandolo la volta successiva)

Jerry Calà, le serate che fa Jerry Cala, le persone che vanno alle serate che fa Jerry Cala.

Le penne con cui i carabinieri fanno le multe, appese agli stivali.

I figli che si mettono le giacche dei padri, con le spalle che arrivano fino alle costole; le spese ai supermercati di domenica mattina; il volersi sedere nella stessa direzione di marcia del tram.

I pantaloni di velluto; il gesto del piede che mette il freno al passeggino, i regimi alimentari decisi dalle promo dell’Esselunga; gli spazzolini Tau Marin.

La facilità delle lenticchie nel farti strozzare.
Il rumore della Fiesta: non ci vedo più dalla fame.
Le scritte “affittasi” sulle agenzie immobiliari sfitte.

La moltitudine del soprannome: Banana. Lello Banana, Rino banana, Gianni banana, Tonio Banana.

Le signore attempate o affini alla menopausa orgogliose di andare in giro con le figlie bone.

Il singhiozzo; le camicie corte dei testimoni di Geova; i bulldog terrier francesi, senza dubbio cani da passeggio dell’anno.

Gli over 60’s che sul tara tara tara tatta ta tara tara tara tatta ta di Can’t take my eyes of you battono le mani e ondeggiano sulle anche.


questo video è dedicato a tutti quegli hipster che si aspettavano una canzone di Gloria Gaynor e a chi da domani vorrebbe iniziare a far suonare le carte, attività in cui attualmente riescono soltanto gli abili commercialisti…

L’amore ai tempi degli Hipster vol. 5


Le facce dei ragazzi che incontrano le amiche delle ex per parlare delle ex.

La speranza quando si stende un bucato di trovare il maggior numero di capi di grossa taglia per finire prima.

Gli imitatori di Rai 1.

I vocalist riciclati che si ritrovano a gridare: quanto è unico questo Capodanno che stiamo vivendo insiemeeeeeee.

Nella vita si può prescindere da tutto ma non dal tagliaunghie.

Le ultime chiamate al gate in aereoporto, che non sono mai le ultime chiamate. Fai 3 km. di corsa e trovi ad imbarcarsi 3 km di gente.

I mezzi pubblici dove parli solo tu in italiano e le stazioni metro dove fa più freddo dentro che fuori.

Le cozze crude; i tragitti che al ritorno sono sempre più corti; il coraggio di indossare un marsupio; il sogno agognato dei liceali in erba di sinistra: i dread.

La professionalità insuperabile dei filippini nell’organizzazione di pic nic.

Padri e madri del sud che abbracciano figli nei tram semideserti di domenica mattina.

La somiglianza di Chet Baker con Pasolini.

Gli anelli lesbo.

Le puzze eccezionali di alcuni spogliatoi e di alcuni suoi abitanti.

Se durante la settimana il tempo è scandito dalle ore, nel week end lo é dalle lavatrici.

I sabato pomeriggio all’Ikea.

Quando ritrovi 2 euro nei pantaloni.

Gli Hotel del Corso che non stanno mai sul corso.

I cani stressati dei paunkabbestia, dai punkabbestia.

La soddisfazione nell’aver nettamente percepito una parola nel flusso di conversazione tra due ragazzi arabi. Non sai che significa, ne potrai saperlo. Ma c’è grande soddisfazione nell’averlo capito.

Quelli che sull’altalena dicono: mi spingi per favore? Guarda che devi fare avanti e indietro con le gambe. Sì lo so, ma non ci riesco.

Il genitivo sassone sui link delle pagine Facebook italiane: i 100 quadri più belli di tutti i tempi’s.

Il ricambio dei baristi cinesi nei bar cinesi.

Quando dici ciao in uno spazio angusto, in contemporanea ad un altro, e sembra che non vi siate salutati.

Gli studenti stranieri che girano con borsa e felpa dell’uni ospitante; il ritorno preponderante delle Dr Martens; l’estetica dei Depeche Mode.

Ivan Zamorano che ti viene in mente alle 08:36 del mattino.

Le mistificazione delle parentesi quadre, ingiustamente sottovalutate.

Le canotte estive nonostante i peli neri sul deltoide.

L’attacco della batteria di Nothing Else Matters di Metallica.

La combo martello-trapano alle 8 del sabato mattina: bom bom bom trrrrrr trrrrr. Bom bom trrr trrr. Trrrrrrrr


Ovviamente la scelta dei sottotitoli in lingua amena, non è affatto casuale ma profondamente Hipster. Fa più underground.

L’amore ai tempi degli Hipster vol. 4


I piedi freddi, nel piumone caldo, d’inverno.

Dopo Stevie Wonder il buio (e non volevo essere ironico).

Le Katia con le k.

Le signore affacciate alle finestre chiuse dei piani terra.

La trascurata essenzialità del ;

Le foto a spruzzo di Audrey Hapburn e Maria Callas nelle stanzette delle studentesse universitarie.

L’influenza degli Articolo 31 sulla vita dei trentenni milanesi.

L’espressione “non per fare polemica”, inevitabilmente seguita da una polemica.

Le passeggiate col freddo polare per far fare le cacchette al cane.

Le uscite senza meta di domenica sera, quasi sottozero, come risposta agli attacchi di disagio.

Ma tipo, il Dalai Lama, nella vita, che fa?

La poca luce nelle case al primo piano.

Una vita di rimpianti nel non saper fischiare come Heidi e il suo amico Peter. Ma poi, perché se Peter si chiama Peter, Heidi e il nonno lo chiamano Peta?

Le attese in macchina in attesa del primo bacio.

I gadget regalati alle fiere che hanno lo stesso effetto dei dolci ai matrimoni.

Ci vorrebbe più onestà nella creazione delle boy band. Bisognerebbe dire fin dall’inizio, chiaramente, che ad un certo punto qualcuno diventerà famoso, abbandonerà il gruppo e condannerà gli altri componenti ad un triste e perenne oblio.
Chi si ricorda i nomi degli “altri” ‘N Sync o delle “altre” Destiny’s Child?

Le foto dei boss mafiosi di 20 anni fa.

I Giacomo nati a Milano che diventano inesorabilmente Jack.

Quelli dell’acqua a temperatura ambiente anche quando l’ambiente fuori è di 50 gradi.

L’inverno in ufficio che ti permette di non stirare più le camicie.

La finta conoscenza che si finge quando ti nominano un Dj:
– Suona Alex Cherrish.
– Ah, certo, un mito lui.
L’accondiscenza maggiore che si mostra se il cognome ha sonorità germaniche.
– Suona Alex Cherrishenger.
– Ah, certo, lui è il mio mito personale.
In entrambi i casi, del buon Alex,  non si è mai sentito parlare.

Le recite dei figli a Natale.

L’incongruenza dell’indaco.

Immaginare il tempo fuori in base ai rumori delle macchine.

L’effetto che fa il tuo balcone, chiuso.

Il nuovo dramma estetico contemporaneo: IL CAPPELLO SCUOLA CALCIO ANNI ’90


tratto dal mio libro in cerca di un temerario editore…

 

Doveva essere il 1999, faceva freddo e il mister era pronto ad accompagnarci a casa.
Eravamo rimasti io, Delorenzi e Andriana, tutti e tre abitanti della zona storica della città, tutti e tre ad aspettare Nando, il Mister.
Andate in macchina, non accendetela, e aspettatemi: mò vengo.
Andammo in macchina, non l’accendemmo, io e Andriana, perche Delorenzi, il più birba dei tre, si azzardò.
La macchina fece il classico singhiozzo che fanno fare i pivelli che non sanno guidare.
Ci spaventammo tutti e tre.
Delorenzi non ci provò più.

Faceva freddo fuori. Faceva caldo in macchina.
Usciamo fuori, facciamo due palleggi, disse Delorenzi, il più birba. Nando, il Mister, non arrivava.
Finimmo i palleggi, iniziammo a farci i dispetti. A farci gli “sgamessi”, a rubarci le scarpe, a darci un po’ di botte, così, per diletto.
Ci rubammo i cappelli della scuola calcio. Quelli di lana. Da pescatore. Con tessuti improbabili e con loghi grossi quanto camerieri. Li lanciavamo da un capo all’altro della strada, facendoli cadere spesso per terra, prendendoli spesso a calci, scambiandoli per palloni. Facemmo in sostanza con i nostri cappelli “la mezzoretta.”

Tornai a casa scortato da Nando, il Mister. Molto felice, molto sporco e molto sudato.
Salendo le scale mia madre mi vide senza cappello.
Perché non hai il cappello?
Perché se no mi facevano “la mezzoretta”
Chi?
Andriana e Delorenzi.
Uh signore… “la mezzoretta” mò lo dico a tuo padre. Uh signore… Mò lo dico a tuo padre.
Tua madre mi ha detto che ti stavano facendo “la mezzoretta”. Che cos’è “la mezzoretta”?
Niente. Rubavamo un cappello e ce lo lanciavamo.
Chi?
Dipende. Io e Andriana a Delorenzi; Delorenzi e Andriana a me; io e Delorenzi ad Andriana…
Ho capito. Ho capito. Per questo non ce l’hai adesso addosso?
Esatto.
Sei sudato però. Te lo dovevi mettere…
Se me lo mettevo mi facevano “la mezzoretta”. Ce l‘ho in tasca, vedi?

Son passati quindici anni da quella sera de “la mezzoretta”
Andriana è diventato un muratore.
Delorenzi è diventato un calciatore, e tra i tre, probabilmente, è sempre il più birba.
Chissà se anche loro, in quella fredda sera del 1999, si immaginavano che il cappello scuola calcio, quel cappello brutto, di lana, da pescatore, sarebbe diventato un accessorio indispensabile.
Già da un anno
quel cappello scuola calcio, brutto, di lana, da pescatore, adesso in testa ce l’hanno tutti. Cioè, ma non tutti a scherzare. Tutti tutti veramente.
Il cappello scuola calcio anni ‘90, è addosso ai più fighi, alle più fighe, all’aperto, e inspiegabilmente, al chiuso.
Se vai a bere, in testa, nel locale hanno tutti il cappello scuola calcio anni ’90.
Se vai a ballare, in testa, hanno tutti il cappello scuola calcio anni ’90.
Non importa che fa caldo. Non importa che si suda. Magari stai in canotta, ma in testa c’è lui: il cappello scuola calcio anni ’90.
La tragicità della vita, non solo ha imposto questa moda, ma ha fatto di tutto per imporla colorata.
Tutti,
le fighe e i fighi,
ovunque,
al chiuso e all’aperto,
hanno i cappelli scuola calcio anni ’90,
brutti,
di lana,
da pescatore:
per giunta colorati.

Anche Andriana e Delorenzi, adesso, mentre scrivo di questo dramma sociale sottovalutato, avranno in testa il cappello scuola calcio anni ’90.

Vorrei parlarne con loro, con Andriana e Delorenzi. Ma anche con Nando, il Mister…
Facendomi spiegare se è una cosa normale. Facendomi mostrare il colore del cappello, che adesso, portano in testa. Perché io non mi rassegno.
Quindici anni dopo, tanti capelli in meno e tanti cappelli in più, io non lo capisco.

Vorrei parlarne con loro. Neanche per troppo tempo.
Solo per un po’.
Giusto, una mezzoretta…

Postilla: essendo il web un nonluogo accidioso, è bene specificare che questo sito non ha nulla contro i pescatori e il loro abbigliamento, bensì prova per questa categoria grandi dosi di stima e affetto.

L’amore ai tempi degli Hipster vol. 2


per leggere il precedente vol. conservato nelle migliori edicole Clicca qui 

Il suono crescente del gorgoglio della bottiglia che si riempie.

Semi-trentenni che vendono i vocabolari sui gruppi Facebook del loro liceo.

Il rumore squillante delle tazzine che si impilano, l’una sull’altra, al bar.

Le spese di merda sul carrello dell’Esselunga, alle quali non si può contestare nulla. Son spese loro. E loro malattie intestinali. C’è il tizio che compra sei bottiglie di Coca Cola e un pacco di patatine; c’è lo studente che compra carne talmente brutta e grassa da indurti al macrobiotico; c’è la mamma di famiglia che inizia a scaricare il carrello e non sai se potrà mai finire; ci sono i prodotti del cinese, che entro qualche ora saranno tutti fritti.
Puoi solo vederli. Quelli del cinese e tutti gli altri. Ma non puoi dirgli niente. E grazie a Dio, neanche mangiarli.

La diversa predisposizione all’abito dei consulenti aziendali.

Le persone che scrivono sul celluare e camminano. Vagano come zombie. Sei tu che devi scansare loro. E se accidentalmente li urti, loro fanno i risentiti.

La signora che da sei mesi corre con un passeggino-tandem con due gemelli. Tutte le mattine. Ma cazzo, non puoi svegliarti due minuti prima?

Sedicenti seienni nei passeggini, trainati da mamme che ovviamente sudano.

Il passamani degli autobus: caldo.

L’odio per chi parla solo per metafore. Tanto va la gatta, sopra la panca, a caval donato, tra il dire e il fare, paese che vai, mogli e buoi, mal comune, una mela al giorno…

Massima compassione e solidarietà per chi compra la pizza e la mangia sul bus.

Faulkner come rimedio agli asterischi e alle chiocciole.

Ad ogni puntata di Porta a Porta, cresce proporzionalmente il rimpianto di non esser nato a Nairobi.

L’oceano dei contatti di Facebook non considerati, quelli messi sotto la barra di visualizzazione della chat.

Scrivere Porco Dio ma farlo in modo rispettoso, con la D maiuscola.

Le foto del clima su Facebook, di oggi e dei prossimi sei giorni, così, giusto per stare tranquilli…

La frase dei proprietarari/accompagnatori dei cani mastodontici: sí ma è buono

La dote innata datami dal Signore Gesù di riuscire a scegliere solo e soltanto le casse lente al supermercato.

L’assenza dell’importo desiderato allo sportello del bancomat. Alcuni sportelli ad esempio, ti scherniscono. Si possono prelevare magari anche 7000 euro. Se però vuoi cinquanta euro, ti compare la fatidica frase: importo non disponibile.

Il viso della guardia giurata all’interno dello schermo di sorveglianza della banca.

Incontrare persone al mattino che puzzano di “sonno”.

La pigrizia atavica nel preferire a sudare piuttosto che sfilarsi il giubbotto, nei mezzi pubblici.

La sciarpa lunga e colorata sull’abito.

La speranza che tra le 16000 notifiche che leggi al mattino sul water, ce ne sia qualcuna interessante. Non la metà. Né la totalità. Qualcuna. La speranza di trovare un suo like, un suo messaggio, uno suo squillo, da inguaribile pre-digital 90’s. Per poi trovarsi al mattino a fronteggiare la giornata con un invito a giocare a Criminal Case!

L’amore ai tempi degli Hipster vol.1


Grandi soddisfazioni nel vedere un tizio afro. Sempre lo stesso. Dieci volte al giorno. In contesti diversi della città. La CIA continua a saper lavorare molto bene.

La mia vita a Milano procede di pari passo col crescere dei rasta di un tizio.

È dura essere bassi e lucani e provarci con le olandesi.

Quelli cosi bassi da non riuscire ad accedere alle tendine parasole della macchina.

Che paura che mi fanno le vite e le vostre bacheche, impilate e impostate come adolescenti sessantenni.

Il t9 è un dramma moderno. In quanto tale, va interpretato.

Il sindacato a che serve?

Perché in giro si vedono così tanti pastori tedeschi e così pochi pastori belga, abruzzesi, albanesi, maremmani? Anche i cani, in Germania, come le macchine, il welfare e le birre, sono migliori?

Le invasioni di Francesca su Whats’Up. Non esiste una sfilza di nomi così lunga…

L’incontenibile voglia di non fermarsi ad una fermata, di voler continuare a camminare, di arrivare all’altra fermata, alla prossima fermata. Per trovarsi dopo pochi secondi a braccetto con la tempesta perfetta.

È quando ti accorgi che anche il sarto cinese ha più ferie di te, allora sei davvero un consapevole attore dei tuoi tempi.

La zaffata di chiuso che esce dall’interno della sartoria cinese, ogni mattina.

Il problema della mia vita è che assocerò per sempre, il biondo ossigenato a Pippo Pancaro.

L’ho capito tardi ma l’ho capito. A me il bricolage fa cacare.

I cartelloni con “Attento al cane” o “Attento ai cani”, senza l’ombra di un animale dentro.

Gli starnuti dei bus e dei tir, una volta a riposo…

Dove e quando finiscono i punti neri? (sul naso)

Surfare nell’idroscalo, vi giuro che c’è gente che lo fa, è come avere un Harley Davidson ed impennare sul balcone.

I messaggi alle tre di notte che ci fanno fare le cazzate. Le grandi cazzate.

Foto di nipoti come foto profilo, foto di nipoti di profilo.

Mi hanno fatto un sacco di auguri. Su Facebook.

La quantità di volte che le femmine bone inseriscono in una conversazione le tre parole: il mio ragazzo. Alcuni esempi:
Femmina brutta:
Sì, possiamo anche vederci per una birra, non c’è problema. Ad una certa però, devo controllare il sistema di notifiche del mio cellulare per vedere se svolge il suo corretto utilizzo o se si inceppa.
Femmina normale:
Sì, possiamo anche vederci per una birra, non c’è problema. Ad una certa però, mi vedo col mio ragazzo. Sai, fa il pugile professionista, il mio ragazzo, e non ci vediamo mai, io e il mio ragazzo.
Femmina bona:
Il mio ragazzo, sì, possiamo anche vederci, il mio ragazzo, per una birra, non c’è problema il mio ragazzo. Ad una certa però, il mio ragazzo passerebbe a prendermi, il mio ragazzo. Sai, sono fidanzata. L’avresti mai detto?